Ai fini della concessione al dipendente pubblico dei permessi di cui alla Legge 104/92, il concetto di assistenza alla persona disabile grave non va inteso come vicinanza continuativa e ininterrotta al soggetto in questione, “atteso che la cura di un congiunto affetto da menomazioni psico-fisiche, non in grado di provvedere alle esigenze fondamentali di vita, spesso richiede interventi diversificati, non implicanti la vicinanza continuativa allo stesso, a condizione che venga assicurata una stretta correlazione causale tra assenza dal lavoro e cura del soggetto bisognoso“.
Questo è il principio recentemente ribadito dalla Corte dei Conti, sezione giurisdizionale della Lombardia, con sentenza n. 261 del 20 settembre scorso.
I Giudici contabili si sono espressi sul caso di una dipendente pubblica sottoposta ad un procedimento disciplinare per aver svolto attività esterna non autorizzata e per aver indebitamente fruito deipermessi e congedi previsti dalla L. n. 104 del 1992 e dal D.Lgs. n. 151 del 2001 per assistere il proprio genitore disabile. In particolare, la convenuta era stata accusata di aver beneficiato di 232 ore di assenza dal servizio presso l’amministrazione non per assistere il genitore, ma per svolgere altre attività, in particolare la gestione di due immobili di proprietà del padre e l’insegnamento della danza presso una scuola di ballo.
Dalle indagini svolte in sede penale era tuttavia emerso che, limitatamente ad 8 giorni di permesso, la signora non avrebbe assistito il padre, ma si sarebbe recata in altro Comune per la gestione dei due immobili che concedeva periodicamente in locazione breve. Attività comunque svolta nell’interesse del genitore disabile.
In merito poi al requisito della convivenza, la Corte ha evidenziato che se è vero che il presupposto per la concessione del beneficio risulta essere appunto la “convivenza”, “è altrettanto vero che l’interpretazione giurisprudenziale del dato normativo, come esattamente rilevato dalla convenuta, si è consolidato nell’ammettere un concetto di “convivenza” non coincidente con quello di “coabitazione”, risultando invero necessario esclusivamente che venga assicurata in favore del parente disabile un’assistenzaabituale e costante“.