Con ordinanza n. 12991/2024, la Corte di Cassazione si è pronunciata sullo spinoso problema dei permessi per motivi personali.
Tale decisione è stata commentata in vario modo da alcune sigle sindacali e dall’ANP, l’Associazione che rappresenta i Dirigenti Scolastici.
La posizione dell’ANP.
Secondo l’ANP, la pronuncia in commento rappresenta una svolta, in quanto rimette al Dirigente Scolastico la valutazione sull’opportunità di concedere o meno il permesso. L’Associazione si è spinta ancora più in là, sostenendo che il diritto del dipendente di fruire del permesso dev’essere bilanciato “con la contrapposta esigenza di regolarità del servizio, nonché nel decidere se concedere o no il permesso”.
In buona sostanza, secondo l’associazione dei “Presidi”, il diritto del dipendente dev’essere contemperato “con l’effettività del diritto all’istruzione, costituzionalmente garantito”.
Tale tesi porterebbe dunque ad escludere la possibilità per il dipendente di fruire del diritto al permesso, in quanto ciò potrebbe comportare una lesione del diritto all’istruzione e – in ogni caso- rimetterebbe alla discrezionalità del Dirigente Scolastico la concessione del permesso.
Le posizioni dei sindacati.
a) il commento della FLC CGIL.
La CGIL ribadisce che “al personale docente e ATA spettano 3 giorni di permessi retribuiti per motivi personali o familiari”, precisando che tale diritto è stato sancito fin dal 2007 con la stipula del CCNL 2006-2009 ed esteso anche al personale a tempo determinato con il CCNL 2019-2021 (art. 35 comma 12).
Secondo la CGIL, “per fruire di questi permessi è sufficiente fornire una motivazione, personale o familiare, che rappresenta il presupposto giustificativo del permesso e che può essere documentata anche mediante autocertificazione da parte dell’interessato.
Il sindacato precisa che “l’autorizzazione di questi permessi non è soggetta ad alcuna valutazione o discrezionalità da parte del dirigente scolastico”, il quale non può entrare nel merito delle motivazioni addotte dal lavoratore, riportando in proposito il parere dell’Aran che conferma che “i motivi addotti dal lavoratore non sono soggetti alla valutazione del dirigente scolastico”.
A proposito dell’ordinanza, il sindacato afferma che la decisione non fa che confermare tale principio, in quanto la Corte si limita ad affermare che il motivo della richiesta di permesso deve “essere adeguatamente specificato” e che il dirigente deve deciderne la concessione valutandone l’opportunità sulla base “di un giudizio di bilanciamento delle contrapposte esigenze”, precisando che per il sindacato l’eventuale rigetto della richiesta dev’essere adeguatamente motivato.
b) il commento della Gilda
La Gilda ribadisce che il personale docente e ATA ha diritto a tre giorni di permesso retribuito per motivi personali o familiari, come previsto dal CCNL 2006-2009. Sebbene il lavoratore sia tenuto a specificare il motivo della richiesta, la motivazione non può essere valutata nel merito dal dirigente.
L’ordinanza, dunque, non aggiunge nulla a quanto già stabilito nel CCNL, nei pareri e nelle sentenze susseguiti nel tempo. Il permesso negato da parte del dirigente, deve essere seguito da spiegazioni scritte.
Ma cosa dice effettivamente la Cassazione?
Va innanzi tutto premesso che il ricorso del dipendente era già stato rigettato sia in primo che in secondo grado, in quanto il docente aveva motivato la richiesta di permesso con la necessità di accompagnare la moglie fuori Milano, senza fornire – a supporto della domanda- non solo alcuna documentazione, ma neppure un’autocertificazione.
In questo quadro, la Cassazione ha spiegato che la richiesta di permesso dev’essere supportata da un motivo idoneo; pertanto tale motivo dovrà essere “adeguatamente specificato”, in modo da consentire al dirigente scolastico di valutarne l’opportunità.
Conclusioni.
Se è vero che si tratta di una decisione destinata a far discutere- soprattutto perché interviene su una problematica particolarmente “calda” (si ricorda che i docenti durante l’anno scolastico non hanno la possibilità concreta di fruire delle ferie, essendo tale diritto subordinato alla duplice condizione di poter essere sostituiti da personale in servizio nella stessa sede e senza che ciò determini “oneri aggiuntivi”)- resta il fatto che sostanzialmente l’interpretazione della norma continua ad essere controversa, come confermato dai comunicati di senso opposto inviati dall’Associazione dei Dirigenti Scolastici e dai sindacati.
Infatti, contrariamente a quanto sostenuto dall’ANP, la pronuncia non afferma affatto che il Dirigente Scolastico abbia un potere discrezionale (e tanto meno insindacabile) nel concedere o meno il permesso, ma – a ben guardare- si limita ad affermare che il dipendente ha l’onere di motivare adeguatamente la richiesta.