Il contratto scuola riconosce al personale tre giorni di permesso retribuito per motivi personali o familiari. Un’applicazione che non ha mai destato grandi dubbi, tranne con la sentenza n.12991 del maggio 2024 della Corte di Cassazione.
Come spiega l’avv. Dino Caudullo, esperto di diritto scolastico, sulle pagine de ‘Il Sole 24 Ore’ la decisione trae origine da una domanda di permesso retribuito genericamente motivata da un docente con la necessità di accompagnare la moglie fuori comune, negata dal dirigente scolastico. Un diniego che il prof riteneva privo di discrezionalità, sostenendo che fosse sufficiente la mera indicazione di un motivo e dovendo il dirigente limitarsi alla verifica della regolarità formale della richiesta.
Pur rigettando il ricorso del docente, la Cassazione si è tuttavia limitata a ribadire ciò che era già evincibile dalla stessa norma contrattuale. I giudici hanno infatti evidenziato, che il Ccnl richiede che il diritto ai tre giorni di permesso, sia subordinato alla ricorrenza di motivi personali o familiari, che il dipendente è tenuto a documentare anche mediante autocertificazione.
La necessità di documentare i motivi della richiesta, e quindi di specificarli adeguatamente, secondo la Cassazione – spiega l’avv. Caudullo – riflette l’esigenza che si tratti pur sempre di ragioni idonee a giustificare l’indisponibilità a rendere la prestazione lavorativa, essendo comunque rimessa al dirigente scolastico la possibilità di valutarne l’opportunità sulla base di un giudizio di bilanciamento delle contrapposte esigenze, da un lato quelle del docente che richiede il permesso, e dall’altro quelle dell’istituzione scolastica.
Secondo l’avv. Caudullo la pronuncia della Cassazione non sembra introdurre alcun elemento nuovo, tale da far ritenere che al dirigente sia riconosciuto un potere discrezionale ad hoc, poiché si limita a ribadire che la domanda va sempre motivata da ragioni di natura personale o familiare, adeguatamente ed esaustivamente esplicate.