L’Aran, in più occasioni, ha fornito indicazioni in merito alla corretta applicazione della normativa che regola la fruizione dei permessi per il diritto allo studio.
In particolare, ha recentemente risposto ad alcuni quesiti posti dagli Enti locali e dai Ministeri. I pareri espressi possono comunque essere tenuti in considerazione anche per il Comparto Scuola.
Riportiamo di seguito i più recenti, tenendo presente che i riferimenti ai CCNL Enti Locali o Ministeri debbono essere sostituiti con gli articoli del CCNL Scuola.
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Un dipendente si è iscritto al primo anno di un corso universitario nel mese di settembre 2015, presentando contestuale richiesta di fruizione dei permessi per motivi di studio, di cui all’art.15 del CCNL del 14.9.2000, per il medesimo anno 2015. In tale ipotesi, le 150 ore per il diritto allo studio debbono essere riconosciute per intero, nonostante siano state richieste solo nel mese di settembre dell’anno? L’ente può autonomamente regolare ulteriormente la materia?
In materia, si ritiene utile precisare quanto segue:
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E’ possibile riconoscere reiteratamente i permessi per il diritto allo studio, di cui all’art.15 del CCNL del 14.9.2000, al medesimo lavoratore per acquisire più lauree e più qualificazioni professionali, nell’ambito del medesimo rapporto di lavoro con l’ente?
Le materie oggetto dei corsi di studio in relazione ai quali vengono richiesti i permessi devono essere pertinenti al servizio o almeno di beneficio dell’ente? L’ente può prevedere, in un apposito regolamento concernente la concessione dei permessi per motivi di studio, casi di non concedibilità dei permessi, come, ad esempio, un tetto individuale massimo di autorizzazioni a conseguire, oltre la prima, ulteriori altre lauree o attestati professionali ove i corsi non siano attinenti al profilo professionale del lavoratore richiedente?
Relativamente a tali problematiche, si ritiene utile precisare quanto segue:
a) come si evince dalla chiara formulazione della clausola contrattuale, l’art.15 del CCNL del 14.9.2000, ai fini della concessione dei permessi per il diritto allo studio, non prevede in alcun modo limiti massimi a tal fine, nel senso di vincolare cioè il riconoscimento degli stessi a favore del medesimo dipendente, nell’ambito della propria vita lavorativa presso l’amministrazione di appartenenza, alla condizione del non superamento di un predeterminato tetto complessivo di corsi di studio, tra quelli previsti come legittimanti. Quello che rileva, ai fini della concessione, è il rispetto, anno per anno, del numero massimo dei beneficiari (3% del personale in servizio all’inizio di ciascun anno) nonché dei criteri di priorità per l’individuazione dei lavoratori che possono fruire dei permessi commi 4 e 5, del medesimo art.15, commi 4 e 5, del CCNL del 14.9.2000). Si ricorda anche che, sulla base dell’art. 15, comma 2, del CCNL del 14.9.2000, i permessi per il diritto allo studio possono essere concessi “… per la partecipazione a corsi destinati al conseguimento di titoli di studio universitari, post-universitari, di scuole di istruzione primaria, secondaria e di qualificazione professionale, statali, pareggiate o legalmente riconosciute, o comunque abilitate al rilascio di titoli di studio legali o attestati professionali riconosciuti dall’ordinamento pubblico e per sostenere i relativi esami…”. Pertanto, sulla base della disciplina contrattuale, la richiamata tutela potrà essere accordata solo qualora si tratti di corsi comunque finalizzati al rilascio di titoli di studio anche universitari o post universitari o comunque riconducibili ad una di quelle altre tipologie ivi espressamente considerate;
b) i permessi per motivi di studio, di cui all’art.15 del CCNL del 14.9.2000, come evidenziato anche dalla disciplina dettata, in quanto finalizzati esclusivamente all’elevazione culturale e professionale dei singoli lavoratori (sono questi, infatti, a individuare liberamente ed autonomamente i corsi che intendono frequentare, sopportandone i relativi oneri), si distinguono nettamente, sul piano concettuale, dalle attività formative organizzate e programmate dall’ente. Ciò comporta che non deve trattarsi di corsi finalizzati ad un titolo di studio correlato alle mansioni ed alla professionalità del lavoratore e, quindi, direttamente o indirettamente all’interesse o ai compiti istituzionali dell’ente. Per queste ipotesi, l’ente farà riferimento solo alla generale disciplina in materia di formazione ed aggiornamento professionale, di cui all’art.23 del CCNL dell1.4.1999 e successive modificazioni ed integrazioni;
una eventuale regolamentazione in materia può certamente essere adottata dall’ente per la definizione delle modalità organizzative e gestionali dell’istituto, ma essa non può estendersi anche alla modifica o alla integrazione sostanziale dei contenuti della disciplina contrattuale, né in senso ampliativo né, a maggior ragione, in senso restrittivo. Interventi modificativi in materia di permessi per motivi di studio non sono consentiti neppure alla contrattazione integrativa.
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Per il personale in comando, ai fini della fruizione dei permessi per il diritto allo studio, la gestione dell’istituto (determinazione dei posti da destinare; individuazione dei lavoratori beneficiari; ecc.) spetta all’ente di appartenenza oppure a quello presso il quale il personale presta servizio in posizione di comando?
Tenuto conto delle caratteristiche dell’istituto del comando e dei contenuti della disciplina contrattuale in materia di permessi per diritto allo studio, si ritiene che, nei confronti del personale in posizione di comando la gestione dei permessi di cui si tratta debba essere riconosciuta all’ente o amministrazione presso i quali il dipendente è comandato.
Tale indicazione trova preciso riscontro anche nella circolare n.12/2011 del Dipartimento della Funzione pubblico, secondo la quale: “In proposito, per rispondere ad alcuni quesiti in materia, con riferimento al personale c.d. di prestito, considerato che il limite percentuale è individuato in base al personale in servizio a tempo indeterminato presso ciascun ente all’inizio di ciascun anno e che la fruizione del permesso e l’esercizio dei diritti connessi produce effetti sull’organizzazione dell’attività di ufficio, la gestione dell’istituto spetta all’amministrazione presso cui il personale è in comando.”.
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Un dipendente, con orario di lavoro 9,00-13,00 e 13,30-16,30, fruisce del diritto allo studio (le 150 ore, ai sensi dell’art.15 del CCNL del 14.9.2000), entrando alle ore 11,18 (quindi fruendo del permesso dalle 9 alle 11,18) e lavorando fino alle 17,00. Ha diritto di vedersi riconosciuti 30 minuti di lavoro straordinario (dalle 16,30 alle 17,00)?
Nei propri orientamenti in materia, la scrivente Agenzia ha sempre evidenziato che secondo il D.Lgs.n.66 del 2003, il lavoro straordinario si inizia a conteggiare solo dopo aver soddisfatto l’intero orario d’obbligo settimanale. Indicazioni in tal senso sono contenute anche nella circolare del Ministero del Lavoro n.8 del 2005. Pertanto, quello che rileva non è il momento in cui si rende la prestazione lavorativa, ma solo il risultato del confronto tra il lavoro dovuto e quello effettivamente reso nel periodo considerato (anche su base mensile, secondo le regole dell’ente).
Non è concepibile, infatti, la sussistenza e la retribuzione di prestazioni lavorative come lavoro straordinario, in presenza di un debito orario ordinario non assolto dal lavoratore nel periodo settimanale o mensile stabilito
Alla luce di quanto detto, relativamente alla particolare casistica sottoposta, l’avviso della scrivente Agenzia è nel senso che:
– i permessi orari retribuiti previsti dalla disciplina legale e contrattuale (ivi compresi quelli da voi richiamati) non determinano un corrispondente debito orario da recuperare a carico del dipendente, tale da incidere sul calcolo del lavoro straordinario;
– conseguentemente le suddette ore di permesso si sommano a quelle di lavoro effettivamente prestate, al fine di determinare il limite (anche su base mensile) oltre il quale scatta l’eccedenza di orario di lavoro che si traduce nel riconoscimento di prestazioni di lavoro straordinario.
In ogni caso, si ricorda che, come regola generale, le prestazioni di lavoro straordinario devono sempre essere preventivamente autorizzate dal dirigente o dal responsabile dell’ufficio di assegnazione del dipendente.
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Il dipendente che deve frequentare un corso o un master universitario di durata annuale da ottobre a giugno dell’anno successivo ha diritto alle 150 ore per i due anni solari consecutivi?
In primo luogo, occorre evidenziare che i permessi per diritto allo studio sono concessi in relazione ad ogni anno solare. Infatti, la disposizione contrattuale (art. 13 CCNL 16 maggio 2001), prevede che all’inizio dell’anno ciascuna amministrazione effettui le procedure per l’assegnazione del beneficio. Ciò premesso, per quanto attiene al caso in questione, si ha motivo di ritenere che la durata annuale (anno accademico) di un master o di altro corso non possa pregiudicare la possibilità di richiedere, da parte dello studente lavoratore, i permessi retribuiti per due anni solari consecutivi al fine di frequentare e completare il corso di studi prescelto. A tale riguardo, però, si precisa che il fatto di aver ottenuto i permessi in un anno solare per frequentare la prima parte del master, non dà diritto alla concessione automatica del beneficio anche nell’anno successivo. Infatti, la richiesta del lavoratore deve essere valutata, per ciascun anno, nell’ambito delle analoghe istanze pervenute dagli altri dipendenti interessati, in base all’ordine di priorità previsto dal comma 4 del citato articolo 13 e tenendo presente gli eventuali ulteriori criteri individuati dall’amministrazione. A seguito della conclusione delle procedure di valutazione delle domande presentate, i permessi potranno essere concessi solo qualora il lavoratore interessato risulti ricompreso tra i destinatari dell’istituto in esame.
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