Gli edifici scolastici in Italia sono 44mila per un totale di 54 milioni di metri quadrati, di cui l’88% è di proprietà degli enti locali. Più della metà di questi edifici è stata costruita prima del 1974 e nel 53% dei casi mancano le certificazioni di collaudo statico.
Sono 21.000 le scuole esposte al rischio sismico e 34.000 quelle a rischio idrogeologico, mentre nel 5% degli edifici scolastici è segnalata la pericolosa presenza di amianto.
Questa è la fotografia dello stato strutturale delle nostre scuole evidenziata dall’ANCE (Associazione nazionale dei costruttori edili), che da qualche anno a questa parte propone l’utilizzo degli strumenti della permuta, in modo da superare i vincoli del Patto di stabilità e rilanciare in modo definitivo l’edilizia scolastica italiana. L’idea della permuta consiste nella possibilità per un comune o una provincia, di cedere la proprietà di un edificio scolastico obsoleto a una società privata, alla quale corrisponderà in seguito un canone annuale in proporzione al numero di studenti che ogni anno frequentano l’istituto. In cambio, l’azienda sarà tenuta a realizzare a proprie spese gli interventi di restauro dell’edificio scolastico oppure di costruzione di un nuovo edificio.
Al Sud, causa il basso valore degli immobili, lo strumento della permuta ha possibilità ridotte di successo, e pertanto diventa indispensabile una percentuale di risorse pubbliche pari al 20 o 30% dell’investimento. Forse una programmazione più avveduta della manutenzione ordinaria e straordinaria del patrimonio edilizio scolastico avrebbe potuto evitare queste proposte di eccessiva privatizzazione che potrebbero mettere a serio rischio il diritto allo studio dei nostri giovani studenti
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