Più valore al lavoro del personale Ata. E’ il titolo del dossier della Cisl Scuola che è stato presentato oggi dal sindacato.
Il dossier propone un’analisi puntuale delle numerose criticità che chiedono di essere efficacemente affrontate e risolte: dalla precarietà, ancora molto diffusa in tutti i profili, alla mancata attuazione di istituti contrattuali finalizzati a dare dinamicità alle carriere e opportunità di sviluppo professionale, al mancato supporto formativo rispetto alla crescente complessità del lavoro, gravato da sempre nuove incombenze, con organici la cui insufficienza è sotto gli occhi di tutti, dopo i tagli pesantissimi del 2008 (decreto legge 112) che rimangono una ferita mai rimarginata.
Ad intervenire alla presentazione la segretaria generale Ivana Barbacci:
“Vogliamo parlare dei passi avanti che sono stati fatti nella trattativa per arrivare nel più breve tempo possibile alla firma del contratto collettivo nazionale di lavoro. Per quanto riguarda l’ampliamento degli organici, siamo di fronte ad un taglio che ha riguardato l’organico del personale Ata molto significativo nel 2008, allora c’erano 252mila posti in organico di diritto. Con i famosi tagli dei quali raccontiamo gli effetti, si arrivò a 208mila, ma non è finita qui. Poi si sono succeduti i governi, al di là dei colori, si è intervenuti riducendo gli organici del personale Ata. Oggi siamo a 204.499. L’ultima riforma del 2015, la legge 107, si è praticamente dimenticata, con la volontà di non trattare determinate soluzioni. Poi c’è stato il Covid, durante quella fase di emergenza, il personale Ata si è visto fortemente impegnato a rispondere ad esigenze diverse, anche solo la pulizia e la vigilanza. Su questo si è intervenuti ampliando il cosiddetto organico Covid che però ha avuto un inizio e una fine. Si poteva avere una prosecuzione, almeno implementando l’organico, necessario a far funzionare meglio le scuole”.
“A questo si unisce l’esigenza di rivedere le tabelle di determinare la definizione degli organici, definite da un Dpr del 2009, la preistoria.
Poi c’è un aumento significativo degli alunni disabili o degli alunni con bisogni educativi speciali, da 224mila a più di 290mila in sette anni.
Ci sono le incombenze caricate sugli uffici amministrativi. L’autonomia scolastica di fatto, oggi possiamo analizzarla come una grande opportunità non colta.
Quale lavoro possiamo fare per il personale Ata? Fare un buon contratto, non disperdere risorse economiche. Questo contratto ha una declinazione ormai non adeguata all’operatività del personale Ata. L’area dei coordinatori amministrativi non è stata aggiornata. Ogni area deve avere la propria base di operatori che hanno chiare le proprie responsabilità.
Abbiamo molta preoccupazione per il profilo degli assistenti amministrativi, la battaglia della Cisl Scuola è attivare le posizioni economiche che hanno rischiato di essere cassate dal tavolo della trattativa. Non si toccano le posizioni economiche del personale Ata.
C’è la necessità di creare un fondo che garantisca le surroghe, un fondo che ci consenta di analizzare anno per anno, tanti ne escono e tanti ne beneficiano in un sistema che non ha interruzioni.
C’è un impegno anche per gli assistenti tecnici. C’è l’esigenza da parte delle scuole di essere più attivi dal punto di vista del digitale. In questi anni si è fatto molto poco. Remotizzare le attività come si fa in altri apparati”.
“Questo dossier è frutto di un grande lavoro che ha visto impegnato la segreteria, l’ufficio sindacale con un grande lavoro di ricerca per tenere insieme un mondo all’interno del quale abbiamo professionalità diverse – spiega Attilio Varengo, segretario nazionale Cisl Scuola – questo contratto risale al 2006-2009, c’è l’esigenza di aggiornare, abbiamo cercato di lavorare su piste diverse che hanno ognuno una connessione con l’altra: organici, stabilizzazione e criticità. Il Dl 112 aveva prodotto un taglio di 45mila unità, uno sconquasso sociale. Tagli che mai sono stati recuperati. Dal 2016 assistiamo a un continuo peggioramento della stabilizzazione degli Ata, una percentuale di precarizzazione del lavoro che arriva quasi al 10% accompagnate da una richiesta di nuovi incarichi al personale, spesso senza una necessaria formazione”.
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