“ E…..esattamente cosa fai?….E dove?”
Alzi la mano chi tra noi docenti educatori, appartententi alla classe di concorso L030, ordine scuola PPPP, non si sia sentito rivolgere almeno una volta nella vita interrogativi di questo tipo a proposito della nostra professione.
Anni e anni di precariato come educatori e educatrici nei Convitti annessi ad Istituti tecnici o professionali. Dopo aver conseguito l’abilitazione, con il concorso bandito del Miur nel 2000, l’esperienza da educatore e educatrice l’abbiamo maturata lì, tutti i giorni a contatto con ragazzi e ragazze provenienti dalle più diverse situazioni familiari e sociali. Poco alla volta abbiamo capito quale fosse la nostra reale funzione, sì educativa, ma molto, molto di più. Docenti–Educatori…. La realtà ci ha insegnato che in questa definizione rientrano molti altri profili: nel momento stesso in cui varchiamo la soglia dei convitti siamo docenti ma contemporaneamente anche psicologi, insegnanti di sostegno, confidenti, esperti di educazione sessuale, registi e direttori artistici, animatori, arbitri, compagni di squadra o avversari….Basterebbe questo tipo di riflessione per capire quanto preziosa possa essere la nostra figura per la crescita non solo culturale ma psico-affettiva degli adolescenti di cui ci occupiamo, spesso con complesse situazioni familiari alle spalle o con un disagio economico e/o sociale. Invece siamo eternamente “invisibili”, misconosciuti e, nell’ambito scolastico, ignorati….
In tutti questi anni ci siamo sforzati di lavorare a tuttotondo per uscire dallo schema della classica “docenza”; il gruppo studio affidatoci è seguito nella elaborazione e nello svolgimento dei “compiti” pomeridiani ma non solo. Abbiamo sempre cercato di costruire un rapporto umano con i ragazzi, pianificando altre attività durante l’anno, in modo che al pomeriggio essi avessero modo di sperimentare che esiste un altro modo per imparare: quello che passa attraverso il mettersi in gioco sperimentando le proprie capacità, inclinazioni, preferenze. Sono nati così laboratori teatrali, musicali, grafici e le attività sportive con tornei e gare di orienteering (con un parco a disposizione è possibile fare anche questo!), per rafforzare l’autostima, la fiducia in se stessi e nel gruppo.
Poi visite d’istruzione, cinema, teatro, concerti. E poi le attività ricreative come le gare di logica e quelle sull’uso del lessico, finalizzate all’approfondimento della lingua italiana spesso penalizzata tra i giovani a favore di una comunicazione sbrigativa e rapida; quelle basate sul linguaggio del corpo (il mimo), sull’improvvisazione di scenette su “canovaccio”, sui travestimenti e il trucco, per acquistare sicurezza in se stessi e per “comunicare” in modo diverso; e infine l’attività culinaria attraverso la quale i ragazzi imparano la condivisione e la gioia dello stare insieme.
Ovvio che il risultato massimo si ottiene quando c’è una dirigenza collaborativa che autorizza le attività e che “investa” tempo nell’ascoltare e soddisfare le esigenze del convitto; e quando c’è il coivolgimento e il lavoro di squadra con i colleghi. Nonostante una certa latitanza di qualche dirigente perché “reggente”, la nostra esperienza in questo senso è stata positiva: abbiamo così messo “in scena” parodie teatrali, e poi esibizioni canore, di gruppo o di solisti, e infine balli. E il ritorno c’è, eccome se c’è: quando già a settembre i ragazzi si avvicinano e chiedono “Ma allora quest’anno si fa lo spettacolo, vero?” O quando vedi brillare nei loro occhi una luce diversa nel momento in cui, vincendo un radicato quanto resistente senso del “pudore”, si propongono per recitare, o suonare, o ballare questo brano teatrale o musicale…..O quando i genitori, stupiti, si complimentano perché i figli frequentano con entusiasmo la scuola e non vedono l’ora di rientrare in convitto.
Credo che il nostro compito sia proprio questo: accendere una scintilla nei ragazzi e gratificare la specificità di ognuno di loro. Il resto vien da sé: l’autostima porta l’apprendimento; la curiosità e l’entusiasmo portano la voglia di fare; la sicurezza in sé porta all’autonomia.
Se solo si avesse percezione dell’importanza del nostro ruolo nel mondo della Scuola credo ci sarebbe una costante e fruttuosa collaborazione con i docenti curricolari: pochi sono quelli che ci contattano per un colloquio o confronto educativo. E’ stato sempre il contrario.
E’ pur vero che credere nell’importanza del nostro lavoro è il primo passo che noi stessi dobbiamo fare per uscire dal limbo degli “invisibili”, per ottenere credibilità e per diventare davvero importanti non solo nei Convitti ma in tutto il mondo della Scuola. Sacrosante a nostro avviso le battaglie per ottenere ad esempio il diritto di voto nei Consigli di Classe e nei Collegi docenti; ma se non dimostriamo in prima persona, con il nostro impegno quotidiano, che siamo un valore aggiunto nella Formazione dei ragazzi e non un “peso morto” come docenti-educatori, abbiamo fallito e quindi già perso.E non sarà possibile tornare indietro.
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