Attualità

Pertini, a trent’anni dalla morte: un presidente con la pipa

Una vita piena di impegno sociale e politico, ma anche una vita “avventurosa”: da oppositore del regime fascista e partigiano a difensore della Costituzione nata dalla Resistenza, sino a Presidente della Repubblica. E’ la storia di Sandro Pertini, di cui il 24 febbraio ricorre il trentennale della morte.

Era infatti il 24 febbraio 1990 quando il “presidente più amato dagli italiani” si spense a Roma, e si spensero anche le sue pipe, di cui aveva una bella collezione, che per lui, dal carattere un po’ burbero e talvolta “fumantino” ma aperto e sincero, rappresentavano soprattutto un “simbolo di meditazione”. E forse si spense anche un’epoca, perché dagli anni ’90 si è registrato un netto declino della politica, divenuta nel tempo succube spesso della finanza speculativa.

Certo, lui socialista irriducibile, almeno si è risparmiato il “blairismo” che ha prima “depurato” il laburismo britannico da ogni idea socialista e poi ha contagiato le sinistre di governo dei Paesi occidentali. Spianando di fatto la strada al neoliberismo, che ancora dilaga perché controlla, a vantaggio di pochi e facendo pagare la crisi a tutti gli altri, i meccanismi finanziari, divaricando le distanze fra ricchi e poveri. E nelle stanze dove si praticano politiche sottomesse ai “poteri forti” si prendono con arroganza decisioni impopolari, basate su  “austerity”, riduzione del “welfare” e precarizzazione della vita dei cittadini.

E il “compagno Sandro” (pare che Pertini alla fine di un comizio tenuto a Genova nel 1976, avvicinato da un giovane socialista genovese, figlio di emigranti calabresi, che si era rivolto a lui iniziando con un timido “signor Presidente” – allora era Presidente della Camera – lo abbia subito interrotto dicendo “dammi del tu, io sono il compagno Sandro”) mai nella sua vita ha praticato “politiche sottomesse ai poteri forti”!

Un politico di imparagonabile spessore rispetto a tantissimi “politicanti” di oggi: figure impresentabili e mediocri, figurine sbiadite o del tutto inconsistenti, “figuracce” di arroganti e presuntuosi.

La lotta al fascismo: il carcere, l’esilio, il confino, la Resistenza

Una vita “avventurosa” dicevamo. Sandro Pertini, all’anagrafe Alessandro Giuseppe Antonio Pertini nacque il 25 settembre del 1896 in provincia di Savona, a San Giovanni di Stella. Dopo aver combattuto durante la prima guerra mondiale sul fronte dell’Isonzo, nel primo dopoguerra aderì al Partito socialista unitario di Filippo Turati e successivamente fu rigoroso e attivo oppositore al fascismo. Nel 1925 venne condannato a otto mesi di carcere e poi costretto all’esilio in Francia per evitare il confino politico; lì svolse vari lavori per mantenersi, tra cui il manovale e la comparsa cinematografica.

Il suo impegno contro la dittatura di Mussolini continuò anche all’estero e per questo, dopo essere rientrato sotto falso nome in Italia nel 1929, fu arrestato e condannato dal Tribunale speciale per la difesa dello Stato alla reclusione e successivamente al “confino”. Alla caduta del regime fascista nel 1943 fu liberato, dopo 14 anni tra carcere e confino, e fondò insieme a Pietro Nenni e Lelio Basso il Partito socialista italiano di unità proletaria, nato dalla fusione del Partito socialista italiano e del Movimento di unità proletaria.

A Roma, dove precedentemente (due giorni dopo la proclamazione dell’armistizio, avvenuta l’8 settembre 1943) aveva partecipato alla battaglia di Porta San Paolo nel tentativo di difendere la capitale dall’occupazione tedesca, fu catturato dalle “schutzstaffel” (le SS) e condannato a morte, ma riuscì a evadere dal carcere di Regina Coeli insieme a Giuseppe Saragat e ad altri socialisti grazie all’intervento dei partigiani delle Brigate Matteotti. Già membro della giunta del Comitato di liberazione nazionale (Cln), nella lotta di Resistenza si distinse in diverse azioni che gli valsero una medaglia d’oro al valor militare.

Grande e indomito oppositore del fascismo e di Mussolini, Sandro Pertini però giustamente condannò in modo fermo lo scempio del cadavere del duce, della Petacci e di altri gerarchi, ordinando di rimuovere i corpi e di portarli all’obitorio: “giustizia era stata fatta, dunque non si doveva fare scempio dei cadaveri”, affermò tempo dopo ricordando quegli eventi e aggiungendo: “io il nemico lo combatto quando è vivo e non quando è morto. Lo combatto quando è in piedi e non quando giace per terra”.

L’impegno politico e i ruoli ricoperti nell’Italia repubblicana

Nelle elezioni del 2 giugno 1946, che sancirono con il referendum istituzionale la vittoria dei sostenitori della Repubblica, fu eletto, tra le fila dei socialisti, deputato all’Assemblea Costituente, l’organo legislativo preposto alla stesura della nuova Costituzione. Nel 1948 fu eletto senatore e in tutte le elezioni successive venne eletto come deputato.

Dopo la nascita della Repubblica si prodigò per trovare elementi di unione nelle sinistre al fine di una “unità d’azione” a favore dei lavoratori (pur esprimendo la ferma convinzione che ciascun partito mantenesse le proprie peculiarità e la propria autonomia), cioè non solo tra socialisti e socialdemocratici (dopo la scissione di Palazzo Barberini nel 1947 a seguito delle divergenze politiche tra Nenni e Saragat) ma anche con i comunisti, seppure non approvandone alcune scelte nel quadro internazionale e diverse posizioni politiche. Pertini, peraltro, non costituì mai nel Psi una propria corrente e spesso aveva rapporti “difficili” con molti esponenti socialisti.

Per due legislature consecutive, dal 1968 al 1976, ricoprì la carica di Presidente della Camera dei deputati. E l’8 luglio 1978 fu eletto Presidente della Repubblica (suscitando ben presto tanti consensi non soltanto fra i suoi vecchi estimatori politici, tanto da essere poi ricordato da molti come il “Presidente degli italiani”).

Sandro Pertini fu tra i presidenti che scelsero di non abitare nel Palazzo del Quirinale e mantenne la propria residenza nel suo appartamento romano, secondo lo stesso Pertini per espresso desiderio della moglie, Carla Voltolina, giornalista e staffetta partigiana durante la Resistenza. Vissero infatti per molti anni in una mansarda di circa 40 metri quadri, utilizzando nelle uscite un’utilitaria (a parte ovviamente gli spostamenti istituzionali) che guidava la moglie in quanto Sandro Pertini non aveva mai conseguito la patente.

Frasi che si  ispirano ai valori di convivenza pacifica tra le genti, di giustizia sociale e di libertà

Nel discorso del suo insediamento a Capo dello Stato, Pertini ricordò come “luminosi esempi” per la sua formazione politica Giacomo Matteotti, Giovanni Amendola, Piero Gobetti, Carlo Rosselli, don Giovanni Minzoni e Antonio Gramsci, con il quale condivise il triste periodo del carcere fascista.

Di quel discorso del 9 luglio 1978 piace anche ricordare un passaggio in cui disse: “si svuotino gli arsenali di guerra, sorgente di morte; si colmino i granai, fonte di vita per milioni di creature umane che lottano contro la fame!

Tra le sue frasi celebri, ricche di vibrante passione civile e politica ne citiamo un paio: “non vi può essere vera libertà senza giustizia sociale, come non vi può essere vera giustizia sociale senza libertà” e “dietro ogni articolo della Carta costituzionale stanno centinaia di giovani morti nella Resistenza. Quindi la Repubblica è una conquista nostra e dobbiamo difenderla, costi quel che costi”, pronunciata  in un passaggio di un suo messaggio di fine anno agli italiani, anche per ricordare che la Repubblica italiana e la sua Costituzione sono nate dalla lotta antifascista e dalla Resistenza al nazi-fascismo.

Memorabili anche alcune sue ferme prese di posizione: nel 1968, poco tempo dopo aver ricevuto il mandato di Presidente della Camera, polemizzò con l’ambasciatore dell’Unione sovietica in Italia per l’invasione della Cecoslovacchia. Come esempio del suo attaccamento ai valori dell’antifascismo va anche ricordato un episodio che suscitò un certo scalpore: quando era Presidente della Camera dei deputati, si recò in visita ufficiale a Milano qualche tempo dopo la strage di Piazza Fontana e si rifiutò di incontrare l’allora questore  del capoluogo lombardo Marcello Guida, che conosceva essendo stato lo stesso Guida, durante il regime fascista, direttore della colonia del confino di Ventotene in cui Pertini aveva trascorso parte della sua detenzione sotto il fascismo. Il gesto ebbe un forte impatto mediatico e qualche anno dopo Sandro Pertini, intervistato da Oriana Fallaci, aggiunse che a determinare quel gesto fu anche il ricordo della morte dell’anarchico Giuseppe Pinelli, avvenuta in questura quando Guida ricopriva appunto l’incarico di questore nella città lombarda.

E  contro l’ultimo generale argentino golpista, Reynaldo Bignone, che, per mettere a tacere le critiche internazionali contro le giunte militari responsabili degli orrendi e vili crimini durante la dittatura nel Paese latino-americano, nel 1983 affermò che i “desaparecidos” andavano considerati tutti morti, Pertini pronunciò parole di sdegno evidenziando anche l’agghiacciante cinismo di Bignone, che poi ebbe l’ardire di inviare una nota di protesta al Ministero degli esteri del governo italiano e a quel punto Pertini con fervore replicò: “non mi interessa che altri Capi di Stato non abbiano sentito il dovere di protestare come ho protestato io. Peggio per loro. Ciascuno agisce secondo il suo intimo modo di sentire. Io ho protestato e protesto in nome dei diritti civili e umani e in difesa della memoria di inermi creature vittime di morte orrenda”.

Va anche ricordato che Pertini rappresentò, insieme ad altri due avvocati, la “parte civile” costituita da Francesca Serio, madre del sindacalista socialista Salvatore Carnevale, assassinato dalla mafia il 16 maggio 1955 in provincia di Palermo per il suo impegno a favore delle lotte contadine, contro il latifondismo e per la redistribuzione delle terre.

Ma nella memoria collettiva il ricordo che molti hanno “fotografato” è quello del presidente Sandro Pertini allo stadio Bernabéu di Madrid nel 1982, durante la finale dei Campionati del mondo di calcio, che festeggia con disinvoltura non certamente istituzionale la vittoria della nazionale italiana.

Nel messaggio rivolto ai giovani Pertini non dimentica la scuola

Infine, riguardo ai giovani e alla scuola citiamo un passaggio del discorso di fine anno del 1983, dove il “Presidente degli italiani” esorta i giovani “a cercare nella scuola tutte le cognizioni necessarie, ad ascoltare i loro docenti per adornare la loro mente di cognizioni utili che serviranno loro per svolgere un’attività nel nostro Paese”. Sempre rivolto ai giovani, Pertini aggiunse: “lotterò sempre al vostro fianco per la pace nel mondo, per la libertà e per la giustizia sociale”.

Andrea Toscano

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