Nei giorni scorsi, in una intervista rilasciata a La Stampa, il ministro della Cultura Alessandro Giuli ha annunciato che vorrebbe mettere in atto un grande “Piano Olivetti” per la cultura.
Ma cosa vorrebbe dire, oggi, realizzare una politica culturale ispirata alle idee e alla pratica di Adriano Olivetti?
Ne parliamo con Giuseppe Rao, che è tra i fondatori della Fondazione Natale Capellaro e del Laboratorio-Museo Tecnologicamente di Ivrea e che da un quarto di secolo svolge studi e ricerche sull’Elea 9003 (il primo computer a transistor prodotto in Italia a fine anni ’50) e sul suo progettista Mario Tchou, morto nel 1961 a causa di un incidente stradale mai del tutto chiarito.
Cosa ne pensa dell’annuncio del ministro Giuli?
Ritengo positivo che il Ministro della cultura Alessandro Giuli abbia espresso, nell’intervista a La Stampa, l’obiettivo di voler implementare un “Piano Olivetti per la cultura” ispirandosi, così afferma, a “temi di socialismo riformista abbandonati dalla sinistra. Ma tutt’ora validi”. Adriano Olivetti è stato il primo imprenditore a promuovere la contaminazione tra le “due culture”: la bellezza dei prodotti che la “Ditta” produceva erano il frutto sia di scelte tecnologiche di avanguardia che del contributo offerto dalle discipline umanistiche.
Vuol dire che Olivetti era riuscito ad “unificare” le due culture, quella umanistica e quella scientifica?
E’ così: lo “Stile Olivetti” è stato reso possibile dalla creazione di un ambiente in cui ingegneri, tecnici, designer, letterati, grafici, sociologi, psicologi, medici, architetti, fotografi, giornalisti e persino registi cinematografici lavoravano a stretto contatto e si influenzavano a vicenda. Grazie a questa visione la Olivetti è stata l’unica multinazionale italiana ad aver conseguito la leadership tecnologica in tutti i continenti.
Sembra che Giuli voglia riferirsi anche alla diffusione delle biblioteche. Le biblioteche pubbliche di oggi potrebbero funzionare secondo una logica olivettiana?
Il riferimento concreto del Ministro al Piano Olivetti sembra per ora riguardare proprio le biblioteche, che egli considera strumento capillare di diffusione – a partire dalle periferie –, della lettura (che dovrebbe fungere da “alternativa allo spaccio o all’immersione solitaria nei social”).
La biblioteca Olivetti, dotata di una delle emeroteche più importanti d’Europa, è stata aperta nel 1930 e la direzione affidata ad intellettuali del livello di Geno Pampaloni e Luciano Codignola: anche questa attività, senza dimenticare il Centro Culturale Olivetti, rientrava nel progetto culturale complessivo. Per completare il modello olivettiano occorrono un’opera di sensibilizzazione alla lettura, investimenti in edifici moderni e funzionali ed inoltre convincere le imprese a creare, ovvero potenziare, biblioteche aziendali realmente fruibili dai lavoratori e dalle loro famiglie.
Esistono oggi le condizioni sociali ed economiche per replicare le politiche culturali ideate da Olivetti?
Il progetto Olivettiano è irripetibile nella sua concezione complessiva e ciò perché l’attuale capitalismo, a partire da quello finanziario e delle multinazionali, è retto da princìpi e interessi inconciliabili con l’etica e la visione del geniale imprenditore eporediese. Purtuttavia è importante che la politica e le istituzioni pubbliche abbiano il coraggio di misurarsi con l’esperienza che si è sviluppata ad Ivrea – a condizione che vengano spiegati gli obiettivi, i mezzi e vi sia un costante monitoraggio dei risultati.
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