Cosa resterà degli anni 80 citava una famosa canzone di RAF, amarcord di una società che non tornerà più. Nel caso nostro potremmo dire cosa resterà di questa DAD nell’era post covid?
La tanto famigerata odiata, ma tanto utile allo stesso tempo, didattica a distanza sembra essere ormai completamente sepolta ed abbandonata nel nuovo anno scolastico appena cominciato per la contentezza di studenti e insegnanti che mal ne avevano digerito l’utilizzo durante il lungo periodo di emergenza sanitaria.
Ma sarà stata la scelta giusta?
Come si sposa questa scelta con il piano della scuola 4.0?
I dubbi sono leciti, ma vediamo cosa prevede in ambito di innovazione digitale, la scuola 4.0.
Il Piano scuola 4.0 parla di Next Generation Classroom che “prevede la trasformazione di almeno 100.000 aule in ambienti innovativi di apprendimento” caratterizzati, riporta il testo del progetto, da innovazione degli spazi, degli arredi e dall’utilizzo di metodologie innovative di insegnamento. Il piano prosegue con quelle che sono le indicazioni rilasciate da OCSE, Unesco e Consiglio d’Europa su cosa si intende per ambiente di apprendimento innovativo visto in sostanza “come un insieme organico che abbraccia l’esperienza di apprendimento organizzato per “determinati gruppi di studenti intorno ad un singolo “nucleo pedagogico”, che va oltre una classe o un programma predefinito”
Il nuovo modello secondo queste organizzazioni rende inadeguato lo spazio tradizionale con l’aula, la cattedra da una parte e le file dei banchi davanti.
Ed è in questo ambito che si parla di tecnologia indicato come uno dei principi dei nuovi spazi educativi.
Ma il tema di fondo rimane il fatto che il solo rivedere la progettazione dello spazio di apprendimento e l’uso della tecnologia non modificano da sole le modalità di insegnamento, serve per completare il quadro una rivisitazione complessiva dei tempi, delle funzioni del personale e formazione adeguata per i docenti.
E qui partono le contraddizioni stesse del piano, dove ad esempio non viene enfatizzato l’importanza dello studio del pensiero computazionale come disciplina trasversale (molto presente invece nel Piano Nazionale della Scuola Digitale), qui ridotto a pochi cenni.
Per quanto riguarda la componente tecnologica il piano prevede che nelle nuove classi “oltre ad avere uno schermo digitale, dispositivi per la fruizione delle lezioni anche in videoconferenza e dispositivi digitali individuali o di gruppo” dovranno avere a disposizione, anche in rete fra più aule, dispositivi per la comunicazione digitale, per la promozione della scrittura e della lettura con le tecnologie digitali, per lo studio delle STEM, per la creatività digitale, per l’apprendimento del pensiero computazionale, dell’intelligenza artificiale e della robotica, per la fruizione di contenuti attraverso la realtà virtuale e aumentata, infine software e contenuti disciplinari o interdisciplinari, disponibili anche sul cloud.
Di DAD o di DID per intendere la didattica a distanza integrata nessun cenno.
Tutti contenti che l’emergenza sanitaria sia passata, contenti di vedere finalmente i ragazzi in classe senza mascherina e con il compagno di banco vicino, ma siamo sicuri che in alcuni casi specifici non sarebbe stato utile utilizzarla la DID?
Magari nei casi di malattia prolungata, o nei casi di territori piccoli invece di far spostare i bambini tutti i giorni?
L’emergenza sanitaria ci aveva costretto ad accelerare sul digitale a scuola così come nella vita di tutti i giorni. Sarebbe un’occasione sprecata non sfruttare questo slancio e completare definitivamente la rivoluzione digitale nelle scuole con o senza Dad.
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