Attualità

Piattaforme digitali, è giusto che Google spadroneggi? Open source ignorate

Ciò di cui molti non sembrano essere consapevoli è che, in tempo di emergenza Coronavirus, le multinazionali del cosiddetto Big Tech stanno praticamente colonizzando la scuola pubblica.

Facciamo un esempio per tutti, la piattaforma G suite for Education di Google, che si è nelle ultime settimane andata insinuando in maniera sempre più invasiva nel nostro sistema di istruzione pubblica. Una colonizzazione celata attraverso l’offerta ai docenti di una soluzione semplice e a portata di mano per ricucire in fretta il rapporto di relazione con le loro classi, interrotto brutalmente dalla chiusura delle scuole come misura di contrasto alla diffusione del contagio da Coronavirus.
Così, gli insegnanti- tutti, anche quelli meno “digitali”- preoccupati per i loro alunni in difficoltà, sono diventati all’improvviso un facile e appetibile terreno di conquista commerciale per un colosso come Google, accogliendo senza riserve- addirittura spesso di loro iniziativa- prodotti come Hangout Meet o Google Classroom, quali preziosi mediatori didattici nelle loro aule virtuali.

Privi di adeguata formazione sulle caratteristiche e sui pericoli dell’impiego di queste piattaforme private, l’esercito di maestri e professori ha visto in questi strumenti l’unica occasione per poter avviare la didattica a distanza e salvaguardare così l’anno scolastico. Ma ciò è stato fatto, il più delle volte, abbracciando acriticamente la scelta di determinati servizi e strumenti tecnologici, interpretandola quasi come obbligata. E più questi mezzi sono stati adottati, meno si è lasciato spazio alla sperimentazione di alternative libere.

Il nuovo scenario

Questo lo scenario che si è andato dunque configurando rendendo prevedibili le conseguenze: affidandoci sempre più a piattaforme e strumenti commerciali che oggi regalano l’accesso a strumenti sofisticati utili a soddisfare tutte le esigenze, saremo purtroppo sempre più incapaci di farne a meno domani, di essere cioè indipendenti da queste aziende private. È ormai sempre più riconosciuto che l’insegnamento a distanza, come del resto lo smart working e, in generale, l’accresciuto tempo che trascorriamo quotidianamente sul web per esigenze di quarantena stanno dando una considerevole spinta a quei processi di campionatura della nostre vite attraverso la gestione dei nostri dati. Non solo personali, ma relazionali e comportamentali. Innegabile che colossi dell’IT, come Google, Microsoft o Facebook, hanno avuto nell’emergenza Coronavirus una straordinaria occasione di accumulare una quantità impressionante di nuove informazioni.

Non a caso nella Nota dello scorso 26 marzo, con la quale il Garante della Privacy ha inteso fornire le prime indicazioni alle scuole, agli studenti e alle loro famiglie sulla Didattica a distanza, ci si è soffermati sul ruolo dei fornitori dei servizi on line e delle piattaforme, distinguendo tra il ricorso al registro elettronico, dove il rapporto con il fornitore autorizzato a trattare per conto della scuola i dati personali di docenti, studenti e genitori è regolato con contratto o altro atto giuridico e, il caso in cui “si ritenga invece necessario ricorrere a piattaforme più complesse che eroghino servizi più complessi anche non rivolti esclusivamente alla didattica”. In questo secondo caso, si raccomanda infatti di “attivare i soli servizi strettamente necessari alla formazione, configurandoli in modo da minimizzare i dati personali da trattare”, evitando, ad esempio, la geolocalizzazione e il social login.

La Rete di solidarietà del’INDIRE

Eppure erano solo i primi di marzo quando l’INDIRE (www.indire.it), l’Istituto Nazionale Documentazione, Innovazione e Ricerca Educativa- per offrire un aiuto concreto alle scuole durante l’emergenza sanitaria da Covid-19, attivava la sua Rete di solidarietà, un ambiente on line di formazione su metodologie e soluzioni innovative per la didattica a distanza a disposizione di docenti e dirigenti scolastici. Messo su in tempi rapidissimi in accordo con il Ministero dell’Istruzione e avvalendosi del contributo di 150 istituti scolastici che fanno parte dei Movimenti di Avanguardie educative e di Piccole Scuole, il servizio sta consentendo tra l’altro la creazione di un repository per l’innovazione e lo scambio di buone pratiche tra i docenti.

Nonostante la bontà del progetto, tuttavia, anche nel sito dell’Indire – e precisamente nell’articolo #iorestoacasa, arrivano i video tutorial per i docenti, che porta la data dello scorso 16 marzo- si legge “Gli strumenti proposti nei tutorial sono gratuiti e immediatamente utilizzabili. In alcuni casi fanno parte di pacchetti studiati per le scuole, come Google Suite for Education o Microsoft Office 365 for Education. La scelta di citare espressamente alcuni applicativi dipende dalla loro generale maggior diffusione e facilità di utilizzo, tenuto conto dello scopo didattico e di pubblica utilità dell’iniziativa.

Il progetto OpenDidattica

Eppure le proposte alternative, libere, offerte agli insegnanti non mancano. È questo il caso, ad esempio, del progetto OpenDidattica (www.opendidattica.org), un’iniziativa volta a promuovere applicazioni libere, open source e gratuite, nata dalla collaborazione di diversi soggetti ed organizzazioni tra cui ILS (Italian Linux Society), AssoProvider (Associazione Provider Indipendenti), Informatici Senza Frontiere, Francesco Valotto della piattaforma SusyDiario, per supportare la scuola in questo momento di emergenza. Tra i software offerti, c’è anche Jitsi, un sistema di videoconferenza simile a quelli Google, che consente collegamenti audio-video per interagire con i propri studenti. Jitsi è, ad esempio, utilizzabile da un noto registro elettronico, per l’utilizzo di Live meeting di Classi virtuali.

Ovviamente proprio perché strumenti e metodi impiegati nell’azione didattica a distanza, come i tempi ad essa dedicata, rientrano nella discrezionalità dei singoli docenti, nel rispetto della libertà d’insegnamento sancita dall’articolo 33 della Costituzione, ciascuno può decidere in autonomia di quali piattaforme avvalersi. Una libertà ribadita anche dal Ministero dell’Istruzione nella Nota dell’8 marzo scorso in cui si legge che “a seconda delle piattaforme utilizzate, vi è una varietà di strumenti a disposizione”.

Certo, a volte le alternative non commerciali non sono in grado di competere facilmente con colossi che si avvalgono di hardware, architetture e infrastrutture di elevata complessità. Ma le strade esistono e sono praticabili. E i docenti, professionisti riflessivi quali sono, hanno tutti gli strumenti culturali per ricercarle. Non si tratta però di una guerra facile e per combatterla occorre determinazione e impegno, ma soprattutto tanta, tanta pazienza per far comprendere il proprio punto di vista.

Amelia de Angelis

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