Categorie: Politica scolastica

Pignatelli (Cip): l’assunzione lontano da casa? È dolorosa, si spera di tornare l’anno dopo

Quella del 2015 rimarrà nella memoria pubblica come la più tormentata estate dei precari: la riforma della scuola doveva estirparli, ma lo spettro delle assunzioni coatte ad una distanza siderale da casa ha costretto in tanti a rinunciare. 

Le polemiche non si arrestano. E l’inevitabile coda di ricorsi in arrivo.

Ne abbiamo parlato con Gianfranco Pignatelli, docente pugliese che conosce da vicino il precariato scolastico, visto che è stato supplente per 27 anni e anche vicepresidente dei ‘Comitati Insegnanti Precari’: figlio e fratello di insegnanti già pensionati, sostiene da tempo che anche il personale docente di ruolo è ormai di fatto precario.

Una teoria che è diventata pratica con l’introduzione degli albi territoriali della Legge 107/15: perché presto il preside, ha scritto Pignatelli “avrà bisogno di fedeli servitori e prodighi delatori. Se un docente rientrerà nel cerchio magico della sua orbita resterà nella scuola in cui è titolare da anni, altrimenti finirà nel buco nero della precarietà, in una sorta di blacklist chiamata albo. In effetti, sarà un elenco dei rifiutati, una discarica professionale dalla quale attingeranno le scuole delle aree degradate e disagiate”. A riforma Renzi-Giannini in dirittura d’arrivo, Pignatelli ha aggiunto che “c’è voluto tutto l’acume del partito democratico per risolvere la piaga del precariato scolastico italiano, l’insopportabile iniquità tra quell’80% di docenti a tempo indeterminato e il 20% utilizzati un po’ qui un po’ lì, un giorno sì e tanti no. Meglio precarizzarli tutti, equipararli senza discriminazione alcuna ai neri, quelli che il caporalato recluta a rotazione per gli agrumi in Sicilia, i pomodori in Campania, l’uva in Puglia e i calci nel sedere dello Stato complice quando non servono”.

 

Quasi l’80% dei precari assunti con la fase B dovrà cambiare regione, in prevalenza spostandosi da Sud a Nord: il ministro dice che non è cambiato nulla, prima lo facevano per le supplenze e ora per il ruolo. Pignatelli, è d’accordo?

No, è in parte falso che il moto migratorio sia solo ascendente. I dati e le esperienza dirette testimoniano che ci si sposta nonostante ci siano disponibilità nella provincia di partenza. Inoltre, supplenze e ruolo sono categorie diverse. Le prime le fanno docenti giovani, il ruolo invece spetta a colleghi tra i quaranta e i sessant’anni con un radicamento personale e familiare oramai consolidato. Poi c’è un orizzonte temporale diverso. Le supplenze impegnano per tempi brevi, mentre il ruolo presuppone la stabilizzazione a tempo indeterminato. Le prime sono finalizzate all’acquisizione di punteggio per un contratto a tempo indeterminato. Il ruolo, invece, spetta a chi ha fatto il pieno di punti, quindi ha già un lungo trascorso di precarizzazione dal quale è giunta l’ora che si emancipi una volta e per tutte. 

 

Lei ha fatto tanti anni di precariato e si è spostato anche centinaia di chilometri per lavorare: perché per questi 7mila precari, che dovranno cambiare regione, l’assunzione lontano da casa viene considerata un costrizione e non una chance?

Non è mai stata chance, ma una necessità. Sempre una scelta difficoltosa e dolorosa. Ma pur sempre una scelta individuale con la prospettiva, un tempo, di rientrare già dall’anno successivo con lo strumento dell’assegnazione provvisoria e, dopo tre o cinque anni, tramite trasferimento interprovinciale. In ogni caso si sceglieva una provincia e non cento. La scelta era dettata spesso dalla prossimità a parenti che offrivano ospitalità alleviando così disagi e spese. Perché, non trascuriamolo, devi metter su una seconda casa e nel contempo sostenere i costi del pendolarismo per raggiungere ogni tanto la famiglia lontana. In ogni caso, oggi è una scelta coatta ad ampio raggio e bassa tutela. Infine, con l’introduzione degli albi e della chiamata diretta da parte dei dirigenti, un collega chiamato a insegnare a molte centinaia di chilometri non ha nessuna possibilità di farsi conoscere e scegliere nella provincia che è stato costretto a lasciare.

 

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Alla luce della riforma, come è cambiato il precariato scolastico negli ultimi anni? In meglio o in peggio?

Il precariato è precariato, non ce n’è uno migliore di un altro. Quello precedente era professionale nella misura in cui eri lavoratore stagionale, espropriato della continuità didattica e della facoltà di verificare i risultati della tua attività. A questa, oggi, si è aggiunta quella esistenziale sia del docente precario sia della sua famiglia. Inoltre un collega trasferito è catapultato in una realtà sociale, culturale e ambientale che ignora. L’assenza di appartenenza e conoscenza della realtà nella quale si è chiamati ad operare ha una gravissima ricaduta sulla qualità dell’insegnamento. Realtà che, troppo spesso, si rivela ostile.

 

Scusi, perchè spesso la scuola dove si è assegnati “si rivela ostile”?

Basti pensare a quale accoglienza si riserva a chi è sbrigativamente annoverato come usurpatore di cattedra potenzialmente destinata a un locale. Non è visto come educatore, ma sottrattore del pane altrui: un po’ come i neri, agli occhi dei braccianti pugliesi, preferiti dai caporali salentini. Questo accresce solo la conflittualità e la precarietà e, per quanto già detto sulla irreversibilità, la estende sine die. Infine la fase C, per gli incarichi del potenziamento in un vasto ambito territoriale e didattico, in luoghi distanti e insegnamenti diversi dal proprio, renderà a tempo indeterminato la precarietà. Tutti in balia dell’algoritmo.   

 

Ma i supplenti nella scuola sono inestirpabili oppure c’è un modo per eliminarli, come vorrebbe fare il Governo?

Uso una metafora cara al premier Renzi: eliminare i supplenti è come negare che una squadra possa avere delle riserve in panchina. Se un collega viene meno, che succede? La scuola insegna in inferiorità numerica? Posto per assurdo – perché, come reclamizzato, è assurdo che ciò avvenga – che senso ha l’ipotesi di bandire nuovi concorsi? Se non servono per le supplenze e il ricambio generazionale, a cosa serve fare un inutile nuovo reclutamento? È più plausibile che si voglia ingaggiare una pletora di aventi diritto da contrapporre a quelli non ancora stabilizzati la sua buona. E la “guerra tra poveri” continua…

 

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Alessandro Giuliani

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