Alma laurea ha pubblicato un’indagine sulla situazione delle donne in Italia. Situazione che complessivamente non cambia molto rispetto agli anni precedenti, che le vede primeggiare sugli uomini a scuola e all’università, ma che a livello di stipendi e carriera di lavoro non riescono ancora a rivaleggiare ad armi pari con gli uomini.
Le donne sono davvero le prime della classe secondo la ricerca condotta da AlmaDiploma e AlmaLaurea: infatti, già dalla scuola media portando a casa un voto d’esame molto spesso più elevato dei maschi: il 35% delle ragazze contro il 26% dei ragazzi ottiene 9 (su 10) o più. Alle scuole superiori lo stesso copione, a prescindere dall’indirizzo, le ragazze ottengono voti più alti.
Inoltre, sono più regolari: il 91% delle femmine non fa ripetenze contro l’85% dei maschi.
All’Università prosegue il dominio delle ragazze sui ragazzi: il Rapporto 2017 sul Profilo dei laureati conferma che le donne, nella quasi totalità dei percorsi di studio, continuano ad avere performance più brillanti rispetto agli uomini, sia in termini di regolarità negli studi che di voti.
Infatti, fra i laureati del 2016, dove è nettamente più elevata la presenza della componente femminile (59%), la quota delle donne che si laureano in corso è superiore a quanto registrato per gli uomini (rispettivamente il 51% e il 46%) mentre il voto medio di laurea è uguale a 103,4 su 110 per le prime e a 101,3 per i secondi; occorre sottolineare che ciò è frutto anche dei diversi percorsi formativi intrapresi.
Inoltre, la ricerca evidenzia un altro punto interessante, ovvero che le laureate provengono in misura maggiore da contesti familiari meno favoriti sia dal punto di vista culturale che socio-economico. Così il 27% delle donne ha almeno un genitore laureato contro il 33% dei maschi. Un differenziale che permane considerando anche la classe sociale: il 21% delle donne proviene da una famiglia di estrazione economica elevata contro il 24% dei maschi.
Di conseguenza, le donne, più brave ma provenienti da contesti familiari più svantaggiati, usufruiscono maggiormente di borse di studio: il 24% contro il 20% dei maschi.
Ecco però le note dolenti del rapporto: tra i laureati magistrali biennali, a cinque anni dal conseguimento del titolo, le differenze di genere si confermano significative e pari a 8 punti percentuali in termini occupazionali: il tasso di occupazione è pari all’81% per le donne e all’89% per gli uomini.
A un lustro dal titolo i contratti alle dipendenze a tempo indeterminato sono una prerogativa tutta maschile: riguardano il 61% degli uomini e il 52% delle donne.
Certo, bisogna anche dire che la precarietà delle donne deve essere collegata anche alla tipologia di lavoro: le donne, infatti, tendono più frequentemente ad inserirsi nel pubblico impiego e nel mondo dell’insegnamento, notoriamente in difficoltà nel garantire, almeno nel breve periodo, una rapida stabilizzazione contrattuale.
Le differenze di genere si confermano anche dal punto di vista retributivo. Infatti, tra i laureati magistrali biennali che hanno iniziato l’attuale attività dopo la laurea e lavorano a tempo pieno emerge che il differenziale, a cinque anni, è pari al 19% a favore dei maschi: 1.637 euro contro 1.375 euro delle donne.
Al di là di altri fattori esterni, a parità di ogni altra condizione, gli uomini guadagnano in media 159 euro netti mensili più delle donne. A ciò si aggiunge che il titolo di laurea è efficace per lavorare più per gli uomini che per le donne: rispettivamente il 56% contro il 53% degli occupati ritiene il titolo “efficace o molto efficace” per lo svolgimento del proprio lavoro. Tendenzialmente, le donne risultano leggermente meno soddisfatte del proprio lavoro.
Per le donne lavoratrice che sono anche genitori le cose vanno ancora peggio, purtroppo: a cinque anni dalla laurea la differenza uomo-donna sale addirittura a 29 punti percentuali tra quanti hanno figli: isolando quanti non lavoravano alla laurea, il tasso di occupazione risulta pari al 90% per gli uomini, contro il 61% per le donne. Anche nel confronto tra laureate, chi ha figli risulta penalizzata: a cinque anni dal titolo il tasso di occupazione delle laureate senza prole è pari all’80%, con un differenziale di 19 punti percentuali rispetto alle donne con figli.
Ovviamente, anche in termini contrattuali si osservano differenze rilevanti: infatti, tra quanti hanno figli e non lavoravano alla laurea, i contratti alle dipendenze a tempo indeterminato riguardano il 63% degli uomini contro il 47% delle donne.
Infine, tra i laureati con figli il differenziale retributivo sale al 27%, sempre a favore degli uomini, che percepiscono 1.697 euro contro i 1.335 delle donne (in tal caso si considerano quanti hanno iniziato l’attuale lavoro dopo la laurea e lavorano a tempo pieno).
Anche dal punto di vista delle scelte lavorative, esiste un divario, non solo sui percorsi tradizionalmente “maschili”, quindi quelli che riguardano i settori scientifici ad esempio. Ma esiste un divario anche per i lavori “tradizionalmente da donna”, come l’insegnante: infatti, il rapporto evidenzia come le donne del gruppo Insegnamento hanno minori chance occupazionali rispetto agli uomini (il tasso di occupazione è pari al 76% contro l’86% dei maschi) e possono contare su una minore diffusione di contratti a tempo indeterminato (68% contro il 71% degli uomini). Anche in termini retributivi le differenze sono marcate: percepiscono 1.208 euro mensili netti contro 1.418 euro percepiti dagli uomini.
IL RAPPORTO COMPLETO ALMALAUREA (CLICCA QUI)
Insomma, a ben vedere questi dati raccolti da AlmaLaurea, viene da pensare che, alla vigilia della festa delle donne dell’8 marzo, la strada nel mondo del lavoro è ancora tutta in salita per loro. Comprese le insegnanti.
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