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Più filosofia e meno latino? O più importanti geografia ed economia?

Un vecchio film raccontava la vicenda di un gruppo di scienziati di altissimo livello che per un guasto imprevisto rimasero chiusi in un bunker che si sarebbe riaperto automaticamente solo 24 ore dopo. Dalle misurazioni che immediatamente fecero si resero conto che uccidendo due di loro tutti gli altri sarebbero sopravvissuti alla mancanza di ossigeno. Il rifiuto dell’assassinio, penosissimo perché un forte senso sincero d’amicizia li univa, sarebbe stato invece causa della loro morte comune di tutti: che fare?
E da quando si è aperto il dibattito della riduzione di un anno alle superiori, con conseguente asfissia di alcune discipline dentro la camera a gas del taglio delle ore, molti i docenti cercano di accreditare la loro materia più interessante delle altre, più importante delle altre, con più possibilità occupazionali delle altre, scordando così che l’apparente inutile sia più utile dell’utile stesso, se per utile si intende ciò che è spendibile e fruibile nell’immediato, così come i rostri dell’aquila per ghermire la preda.
Leggiamo da qualche parte:
“E’ necessario avere il coraggio, in una logica di priorità formative, di eliminare lo studio del latino e del greco così come ora realizzato. Introducendo come materia letteratura greca e latina per un paio di ore la settimana. Scelta dolorosa ma necessaria per fare entrare la nostra scuola nel presente. A fronte di ciò vanno introdotte lo studio dell’economia e della geografia politica. Le carenze economiche degli italiani sono acclarate da molti studi, bisogna porvi rimedio insegnando che l’aspetto quantitativo ed economico rappresentano un pezzo di realtà non prescindibile in ogni attività umana. Ci vuole coraggio. Una prima richiesta al nuovo ministro è che sia data la possibilità di sperimentare e di liberare la scuola da un centralismo che spegne l’innovazione e il desiderio di trovare piste di formazione più aderenti alle esigenze del mondo e dei nostri figli”.
Il finale del film degli scienziati nel bunker è a sorpresa, perché uccisero due colleghi estratti a sorte, ma la porta si aprì inaspettatamente molto tempo prima, nonostante i calcoli e la certezza della scienza. Fra l’altro lo stesso giudice, che fu incaricato di fare luce sull’assassinio, decretò che per nessuna ragione si può uccidere un uomo, nemmeno sull’altare della scienza più esatta e del pragmatismo più feroce. Ma lui si era formato, oltre che sui libri della giurisprudenza, su quelli della filosofia e dell’umanesimo.

Pasquale Almirante

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