Colpito da una crisi quasi patologica e fisiologica derivante dal limitato adeguamento dei fondi all’inflazione galoppante ed al relativo – conseguente – innalzamento medio del costo della vita e dei beni di consumo, il sistema scolastico del Regno Unito ha dimostrato la propria tenacia grazie alle astute e ben organizzate mosse del corpo docente il quale, attraverso scioperi e proteste, è riuscito a rendere noto appieno il proprio appunto istituzionale provocando disagi ingenti, pari alla chiusura vera e propria di istituti proiettando l’attenzione mediatica sui temi della formazione delle nuove generazioni.
Oltre alla penuria di fondi – senza i quali le scuole sono ostaggio di improbabili finanziatori privati i quali si riserbano di decidere come esercitare la didattica – pare che lo scarso interesse delle nuove generazioni nei confronti della professione abbia portato i docenti a puntare il dito contro un esecutivo a loro detta infantile, sordo e disinteressato alle questioni strategiche. L’esecutivo, oltre a promesse per ristabilire ordine, servizio regolare e status quo, ha lanciato una campagna di finanziamento diretto al mondo della scuola: è un record relativo sia alle tempistiche di approvazione – quasi emergenziali – sia agli importi devoluti al sistema nel suo complesso per la riabilitazione competitiva del sistema in oggetto.
Le scuole in Inghilterra riceveranno i finanziamenti più alti di sempre in termini reali, per un totale di quasi 60 miliardi di sterline per il 2024-25, mentre il governo annuncia oggi i finanziamenti extra che riceveranno attraverso la National Funding Formula (NFF). Le scuole tradizionali in Inghilterra riceveranno una media di circa 6.000 sterline per ogni alunno dal prossimo anno attraverso il NFF, con ulteriori finanziamenti per la retribuzione degli insegnanti in aggiunta agli importi già menzionati. Più denaro che mai viene investito nelle scuole, garantendo ad ogni studente un’istruzione adeguata ed in linea con i paesi assimilabili. Nel complesso, i finanziamenti raggiungeranno il livello più alto di sempre in termini reali per alunno nel 2024-25, come misurato dall’Institute for Fiscal Studies (IFS), a sottolineare l’impegno del governo nei confronti dell’istruzione.
Questi fondi possono essere spesi per stipendi del personale, gite scolastiche e attrezzature in aula che contribuiranno a migliorare gli standard scolastici e i risultati dell’istruzione. Questi aumenti fanno parte degli ulteriori 9,8 miliardi di sterline investite nel budget di base delle scuole entro il 2024-25, rispetto al 2021-22. I limiti del piano d’investimenti, nonostante l’entusiasmo dell’esecutivo che pare abbia messo a tacere – per ora – le proteste del corpo insegnanti, concerne la molteplicità dei soggetti istituzionali legati agli importi ed alla relativa spesa. Sono spesso dei privati, con giri di appalto sempre più tortuosi con il fine di limitare le spese, e le scuole spesso non vedono effetti benefici, tangibili e diretti sul proprio ecosistema educativo.
Il Belpaese è tristemente noto per la limitata spesa sull’istruzione, inferiore di circa un punto percentuale rispetto alla media dei paesi UE. Occorre però ricordare che tale dinamica non è effetto diretto ed esclusivo dei tagli messi in campo dagli esecutivi passati e del presente, bensì di un disadeguamento della spesa scolastica rispetto alla crescita – anche se lenta rispetto alle altre realtà europee – del PIL a livello annuo. La spesa resta (quasi) la stessa ma non è proporzionata agli indicatori dell’economia reale: rapporto PIL/spesa pubblica, debito pubblico, inflazione e potere d’acquisto della popolazione, costituita dai numerosissimi lavoratori della scuola.
Nonostante nel precedente decennio l’Italia abbia superato una soglia di sbarramento relativa alla spesa scolastica rapportata al PIL (in questo caso il 4 %), resta agli ultimi posti rispetto agli altri paesi europei, che adeguano gli importi e gli investimenti al PIL. Un report della Fondazione Agnelli, pubblicato a novembre dello scorso anno, ha però smentito i luoghi comuni relativi al sistema scolastico nostrano, il quale investe oltre 75.000 euro a studente, molto di più di ogni stato membro UE. E’ dunque possibile – a rigor di logica – che non si è speso poco, ma male e con un numero di soggetti eccessivo rispetto alle reali esigenze – croniche ed eguali nel tempo – del sistema educativo.
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