Nel confronto tra le retribuzioni dei laureati coi quelli senza titolo accademico emerge che la retribuzione annua lorda media dei secondi è nettamente inferiore a quella dei laureati (27.129 euro contro 39.493 euro) e la forbice si amplia maggiormente quando si va a considerare la retribuzione globale annua, comprensiva di un’eventuale quota variabile (si passa da 27.880 euro contro 41.480 euro).
La differenza di retribuzione, spiega l’AndKronos, tra i laureati e i non laureati tende a crescere all’aumentare dell’età anagrafica, in particolare dopo il trentacinquesimo anno di età.
Nella fascia 35-44 anni la forbice è del 42,2% e cresce fino al 75,7% nella fase di piena maturità professionale (45-54 anni).
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La differenza più contenuta nelle classi di età inferiori è riconducibile all’entrata tardiva nel mercato del lavoro dei laureati (non prima dei 25-26 anni in media), mentre chi ha un diploma o un titolo inferiore (scuola dell’obbligo o abilitazione professionale) al raggiungimento dei 24 anni ha tendenzialmente un certo numero di anni di lavoro alle spalle, con conseguenti scatti retributivi e contrattuali.
Questo generation gap incrementa nei casi di un percorso di laurea di almeno 5 anni (di 4, nel caso di una laurea del vecchio ordinamento) o di un master.
Nel considerare le differenze retributive medie rispetto all’inquadramento contrattuale, JobPricing ha rilevato per le figure dirigenziali un divario significativo tra laureati e no, ma non altrettanto elevato per gli altri profili (impiegati e operai), con un panorama apparentemente diverso da quanto sopra riportato.
Infatti, nel momento in cui si tiene in conto la composizione occupazionale associata a ciascun titolo di studio, si nota che gli operai sono presenti in percentuale più consistente al calare del livello di istruzione, abbassando pertanto il valore retributivo medio complessivo, mentre la percentuale di dirigenti e quadri è considerevolmente più elevata tra i laureati con almeno 5 anni di carriera universitaria (sopra il 25%, al contrario dei non laureati, per i quali le chances di essere inquadrati con profili manageriali non superano il 5%).
L’aver frequentato un’università privata dà un ritorno economico superiore del 17% rispetto all’aver frequentato un’università statale, e del 4% rispetto all’aver frequentato un politecnico.
Altro aspetto che incide sulle prospettive di carriera e di guadagno è la sede degli studi effettuati: chi ha frequentato una università al Nord guadagna mediamente il 15% in più rispetto a chi ha frequentato un ateneo al Sud, mentre il divario di attenua tra Nord e Centro. A seguito del percorso scolastico si assiste inoltre ad un fenomeno migratorio dei lavoratori dal Sud verso le regioni settentrionali.
Un altro dato significativo è legato al mercato occupazionale: alle università private è associato un numero più elevato di profili dirigenziali, con un valore medio del 15-20% per gli atenei privati in testa alla classifica, seguiti a scalare da tutte le altre principali università del Nord. Per recuperare, rileva JobPricing, a livello economico il mancato guadagno e l’investimento fatto per completare il percorso di studi universitario è necessario un intervallo di tempo che va dagli 11 ai 20 anni a seconda dell’ateneo frequentato, con l’aggiunta di ulteriori 1 o 2 anni per gli studenti fuori sede.
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