PNRR, abolizione dei voti numerici anche alle superiori, campagne insistenti per l’adozione di scelte didattiche “non trasmissive”, “non frontali”, “non dogmatiche” (con l’accusa implicita ai docenti di esser fermi alla lezione dogmatica, frontale, trasmissiva). Ancora una volta, come spesso negli ultimi anni, sulla Scuola incombono cambiamenti epocali senza che gli insegnanti vengano interpellati, se non per ratificare — nei Collegi dei Docenti — quanto appare già deciso dall’Alto: ossia dalla politica, dall’industria, dalle multinazionali digitali.
Eppure — è bene ricordarlo — la libertà d’insegnamento è un diritto indisponibile, garantito dall’articolo 33 della Costituzione. Ergo, il Collegio dei Docenti — sancisce l’art. 7 del d.lgs. 297/1994 — «ha potere deliberante in materia di funzionamento didattico del circolo o dell’istituto. In particolare cura la programmazione dell’azione educativa anche al fine di adeguare, nell’ambito degli ordinamenti della scuola stabiliti dallo Stato, i programmi di insegnamento alle specifiche esigenze ambientali e di favorire il coordinamento interdisciplinare. Esso esercita tale potere nel rispetto della libertà di insegnamento garantita a ciascun docente».
Persino “a ciascun docente”, pertanto, la libertà d’insegnamento è «garantita»: dalla Costituzione e da un Decreto Legislativo, che è fonte giuridica di primo livello perché frutto di discussione parlamentare, e come tale non subordinata a mode, dibattiti TV, opinioni giornalistiche, diktat di associazioni dirigenziali, pressioni genitoriali.
Ai docenti basterebbe ricordare e convincersi della realtà e della concretezza delle proprie prerogative, garantite dalla legge (e che pertanto sarebbe semplicemente reato impedire), per ritrovare la voglia e il coraggio di usare cultura, esperienza e coscienza al fine — quantomeno — di affermare liberamente la propria opinione rispetto a decisioni (gravide di conseguenze per Scuola, discenti e docenti) altrimenti calate dall’alto senza discussioni.
In una comunità educante, affinché sia educante, si deve discutere, perché nessuna verità è assoluta, ma alla verità si arriva ragionando insieme; come ragionando insieme, in democrazia, si arriva alle decisioni di interesse comune. A patto, naturalmente, che nella democrazia si creda.
Possibile che gli insegnanti abbiano talmente interiorizzato il senso di colpa, da non trovar nulla da ridire ufficialmente, nelle sedi opportune (ossia in Collegio), nemmeno quando si arriva sui media ad adombrare che i docenti vogliono i voti numerici (benché “dannosi”) per il gusto di comandare (se non per sadismo)?
Recentemente, infatti, si è giunti scrivere che i docenti privilegerebbero le “discipline” rispetto alla “pedagogia” perché le discipline sarebbero “elitarie” e fonte di “potere” (anche economico!) per i docenti, mentre la pedagogia sarebbe “strumento del popolo”. Quasi che, nella prassi quotidiana, ogni docente non dovesse ricorrere alla pedagogia per indurre allo studio, alla comprensione e al gradimento della propria disciplina. Quasi esistesse una lobby degli insegnanti, ricca riverita e potente, anziché la categoria di laureati sottopagati, impiegatizzati e sottostimati nella quale 30 anni di politica scolastica hanno ridotto i docenti della Scuola italiana!
L’utilizzo dei fondi del PNRR va discusso approfonditamente in Collegio dei Docenti; specie per le decisioni che comprometterebbero la libertà d’insegnamento (e quindi il diritto dei discenti al pluralismo). Non sarebbe accettabile, ad esempio, obbligar gli studenti a usare dispositivi digitali per un numero predefinito di ore quotidiane, senza il parere di Collegio dei docenti, Consiglio d’Istituto e rappresentanze di studenti e genitori. Sono queste le sedi in cui si può riaffermare il dibattito, onde impedire che lo stanziamento dei fondi del PNRR si traduca unicamente in un’operazione di dirottamento di fondi pubblici sui conti correnti delle multinazionali tecnologiche (mentre la Scuola pubblica letteralmente crolla sulle teste degli alunni, perdura il problema delle classi pollaio e il personale scolastico italiano è il più sottopagato del mondo civile).
Nessun dirigente può (e probabilmente nemmeno vuole) legittimamente impedire il dibattito collegiale su argomenti didattici, che riguardano tutti gli interessati (dalla anglofila terminologia ministeriale definiti “stakeholders”). Neanche se il PNRR condiziona l’erogazione dei fondi (prestati!) riforme precise, da eseguire rapidamente (forse proprio per impedire il dibattito democratico?).
Non possiamo permettere (perché converrebbe solo a pochissimi privilegiati) che l’Italia stravolga le proprie istituzioni democratiche, come hanno dovuto fare la Grecia e l’Argentina per non essere strangolate dalla troika. La resistenza a tutto ciò passa attraverso l’impegno quotidiano di tutti, e la legge è ancora dalla parte di chi non intende abdicare ai propri diritti.
Il Codice Amministrazione Digitale (d.lgs. 82/2005) obbliga le Pubbliche Amministrazioni ad adottare software libero; decisioni difformi da questo principio sono subordinate complicate valutazioni comparative, che dimostrino concretamente la eventuale maggiore efficacia del software proprietario. La legge, come si vede, permette dunque di impedire la subordinazione della Scuola pubblica ad appetiti altri. A patto, come detto sopra, di credere ancora nella democrazia e nel bene collettivo come condizione del benessere individuale.
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