Terminare l’Università con “110 e lode a 28 anni non serve a un fico, è meglio prendere 97 a 21”: a dirlo è stato il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti.
L’occasione per esprimere il concetto è stato l’incontro del 26 novembre con gli studenti, durante la convention di apertura a Veronafiere di “Job&Orienta”, la 25esima mostra convegno nazionale dell’orientamento, scuola, formazione, lavoro.
Terminando presto gli studi universitari, ha continuato Poletti, “un giovane dimostra che in tre anni ha bruciato tutto e voleva arrivare”.
“In Italia – ha continuato il ministro del Lavoro – abbiamo un problema gigantesco: è il tempo. Perché i nostri giovani arrivano al mercato del lavoro in gravissimo ritardo. Quasi tutti quelli che incontro mi dicono che si trovano a competere con ragazzi di altre nazioni che hanno sei anni meno di loro e fare la gara con chi ha sei anni di tempo in più diventa durissimo”.
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“Se si gira in tondo per prendere mezzo voto in più – ha continuato il ministro – si butta via del tempo che vale molto molto di più di quel mezzo voto. Noi in Italia abbiamo in testa il voto, non serve a niente”. Il voto è importante solo perché fotografa un piccolo pezzo di quello che siamo; bisogna che rovesciamo radicalmente questo criterio, ci vuole un cambio di cultura”.
In settimana, a proposito di laureati in Italia, la situazione aggiornata è stata fotografata dal rapporto “Education at a glance“: ebbene, la percentuale di laureati magistrali in Italia supera la media Ocse.
Dal rapporto è merso che se le attuali tendenze verranno confermate, nell’arco della propria vita, il 20% dei giovani italiani conseguirà un titolo universitario di secondo livello o un titolo universitario equivalente contro una media dei Paesi dell’Ocse che è del 17%.
Tuttavia, si prevede che in Italia solo il 42% dei giovani si iscriverà all’università, la minore quota d’iscrizione rispetto all’insieme dei Paesi Ocse, dopo il Lussemburgo e il Messico. Nel complesso, il 34% dei giovani italiani dovrebbe conseguire un diploma d’istruzione terziaria, rispetto a una media Ocse del 50%.
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