Maretta nel governo. Registriamo l’abbandono dalla maggioranza di due esponenti del gruppo “Popolari per l’Italia”, Mario Mauro e Tito Di Maggio. Mauro ufficialmente resterà nel gruppo “Grandi Autonomie e Libertà”, ma con un piede sempre più dentro Forza Italia, mentre Di Maggio aderisce alla nuova formazione messa in piedi da Fitto a Palazzo Madama dei “Conservatori”.
Contemporaneamente il sottosegretario all’Istruzione, Angela D’Onghia, ha annunciato la sua permanenza nella maggioranza di gioverno.
Ad “Affari Italiani”, il sottosegretario dice “Non lascerò la maggioranza e non mi dimetterò da sottosegretaria. Già qualche tempo fa ho maturato la decisione di lasciare i Popolari per l’Italia ma ho aspettato dopo le Regionali per ratificarlo. Ho preso degli impegni e penso che l’Italia più della dialettica abbia bisogno di un lavoro concreto. Il Paese non è ancora uscito dalla crisi che l’attanaglia. Per questo penso che il primo obbligo di un parlamentare oggi sia quello di lavorare affinché il Paese possa incominciare a camminare e a correre. Tengo a precisare che non mi trasferisco in nessun altro partito”.
Il “terremoto” politico ridisegna i contorni della maggioranza a Palazzo Madama, che registra l’uscita di due senatori, con la conseguente riduzione dello “scarto” rispetto all’opposizione, a 9 senatori. Un conto quanto mai cruciale, alla luce della riforma costituzionale che tornerà alla Camera alta in terza lettura prima della pausa estiva e del via libera alla riforma della scuola.
La maggioranza infatti sulla carta ha 113 senatori Pd (in pratica però 112 perché il presidente non vota per consuetudine), 36 centristi, 19 del gruppo Per le Autonomie (anche se Ciampi e Piano di solito non votano), 3 del gruppo Gal (composto da 15 senatori) che sono quelli che hanno detto sì all’ultima fiducia. Poi c’è una pattuglia di 3-5 senatori del Misto (con Bondi e Repetti) per un totale di circa 175 voti rispetto a un’opposizione “forte” di 145 voti. Ma all’ultima fiducia hanno votato a favore in 172, cioè 11 in più dei 161 necessari (in quell’occasione dissero sì anche Bondi e Repetti).
In questo quadro piuttosto complesso la vera differenza potrebbe farla solo la sinistra Pd (i 24 firmatari del documento del dissenso sulla riforma costituzionale, anche se i veri contrari sarebbero 15/16), che diventa così sempre più determinante.
Per quanto riguarda i Popolari per l’Italia infine c’è da registrare l’uscita anche di Domenico Rossi, anche lui, sottosegretario alla Difesa, resterà al governo. Per il momento, se D’Onghia rimane nel gruppo Gal, Rossi si conferma nel gruppo per l’Italia-Centro democratico.