Sorprende la sorpresa per il fatto che al Liceo Einstein di Torino una classe abbia spostato l’orario della pizza di fine anno per permettere la partecipazione al compagno che doveva rispettare il Ramadan.
Lavorando io in una scuola media a poche centinaia di metri da quel liceo confermo che questa è la normalità. Magari i più piccoli spostano la data invece che l’ora, ma, quando c’è un buon gruppo classe, non è pensabile fare la cena di fine anno escludendo un compagno; che sia per ragioni di barriere architettoniche o per impegni familiari o per il Ramadan non fa differenza.
Come dice il Preside del Liceo Einstein nell’intervista del 12 giugno 2018 sulle pagine locali di Repubblica: “Tra di loro sono semplicemente compagni.” E la creazione di un buon gruppo classe dipende in buona parte dagli insegnanti e da come hanno impostato la relazione e le modalità di apprendimento.
Ho l’impressione, ma sarebbe interessante una ricerca che possa supportare questa sensazione con dei dati, che la normativa sull’integrazione/inclusione degli allievi con disabilità abbia favorito in Italia la creazione di un clima di accoglienza e rispetto per la diversità, maggiore di quanto non si pensi, anche nei confronti degli stranieri.
Cito ancora, come ho già fatto sulle pagine di questa rivista, il libro di Benedetta Tobagi: La scuola salvata dai bambini Viaggio nelle classi senza confini. Un libro che ogni insegnante, ogni dirigente scolastico e ogni ministro dell’istruzione dovrebbe leggere, perché l’autrice è stata in grado di fotografare una realtà dinamica e ricca di esperienze positive che probabilmente contribuiscono, tra l’altro, a ridurre il rischio terrorismo nel nostro paese, sviluppando un senso di appartenenza ad una comunità che accoglie guardando la persona e non considerando la religione, la provenienza culturale o altre differenze come elemento di discriminazione.
Naturalmente esiste anche altro: il bullismo, spesso vera e propria devianza criminale, di chi si accanisce con chiunque e soprattutto con coloro che presentano la minima diversità. Ma è altrettanto vero che il lavoro quotidiano di insegnanti ed educatori contribuisce a contenere questo lato oscuro dell’animo umano, malgrado tutte le carenze di personale e di risorse che riducono in realtà fortemente la possibilità per i servizi scolastici ed educativi di agire in modo efficace. La prevenzione di terrorismo, bullismo, baby gang e fenomeni criminali in genere necessita infatti non dell’esercito nelle strade, ma, al fianco di forze dell’ordine e magistratura, di un esercito di insegnanti, educatori, assistenti sociali, ben formati e convinti dell’importanza del loro ruolo, determinante per la costruzione di società in cui la convivenza civile e democratica non sia solo una sterile locuzione retorica, ma una realtà vissuta nel quotidiano di ogni cittadino.
A fronte, nonostante tutto, di un contesto culturale capillarmente inclusivo, come quello che si vive nelle scuole italiane come si spiegano allora il travaso di voti verso il partito più ostile all’immigrazione -il cui massimo esponente ha, per la prima volta, deciso la chiusura dei porti ad una nave carica di migranti- e i sondaggi favorevoli a questa decisione?
Anche in questo caso occorre evitare, come fanno alcuni politici, una valutazione ideologica e affrettata, carica di giudizi ostili verso tutti coloro che appoggiano questa decisione, senza considerarne le motivazioni.
Molti di coloro che vivono esperienze di inclusione insieme a compagni o colleghi stranieri non sono del tutto contrari all’azione di Salvini, per un semplice principio di equità: in Europa siamo una Unione solo quando conviene, ma sul problema migranti deve pensarci solo l’Italia?
Le reazioni scandalizzate di paesi che hanno fatto per l’accoglienza molto meno dell’Italia non fa poi che rafforzare il sostegno all’azione drastica del ministero dell’interno. Basti pensare alla Francia che usa parole offensive verso l’Italia mentre lascia morire le persone sui nostri passi alpini, che poi vengono salvate negli ospedali italiani, maltratta una donna incinta per farla scendere dal treno e mette in galera la guida alpina francese, che ha soccorso persone che rischiavano l’assideramento, portandole all’ospedale di Briancon. Anche da parte della Spagna non si può certo parlare di accoglienza, pensando a ciò che succede nelle città di Ceuta e Melilla dove un muro di protezione è presente già dagli anni novanta e migliaia di persone muoiono nel tentativo di attraversare lo stretto di Gibilterra. Perlomeno i migranti della nave Aquarius sono assistiti e non abbandonati.
A rafforzare l’ostilità verso ulteriori arrivi di immigrati si aggiunge poi il disagio di chi vive nelle periferie e si è sentito tradito dai riferimenti politici che nella sinistra costituivano la difesa dei diritti sociali e delle condizioni economiche del “popolo”. Oggi anche solo pronunciare questa parola comporta l’essere accusati di “populismo”, ma forse le élite di sinistra hanno perso così clamorosamente il contatto con il popolo da non riuscire più a comprenderne il disagio e i bisogni, gettando nelle braccia di altre formazioni politiche una enorme parte del proprio elettorato e della propria base sociale e culturale.
In questo momento la sinistra non sa proporre idee e persone che rappresentino le istanze popolari e l’enorme astensionismo delle ultime consultazioni amministrative è la testimonianza di chi non ha più un punto di riferimento: molti che hanno votato M5S non lo fanno più per l’alleanza con la Lega, ma non possono votare né PD, per le sue politiche contrarie ai valori della tutela dei diritti sociali e della democrazia partecipata, né LeU per l’inconsistenza delle sue proposte.
Le sacrosante battaglie per i diritti civili non sono sufficienti, senza una costante presenza nella difesa dei diritti sociali, basate sull’ascolto e il dialogo, altrimenti si fa l’errore che segnalava il pedagogista brasiliano Paulo Freire: una pedagogia esclusivamente trasmissiva (che definiva “depositaria”) basata su una comunicazione unidirezionale e sulla passività dei discenti, crea condizioni di dominio e alienazione, dove le élite che pretendono di insegnare vengono rifiutate in quanto vissute come estranee.
L’adozione invece di una pedagogia dialogica, fondata sull’ascolto reciproco, la comunicazione multidirezionale, la costruzione di un sapere condiviso, indirizzata verso la creazione di condizioni di umanizzazione e liberazione, sarebbe forse molto utile a tutti coloro che pretendono di realizzare riforme della scuola, del mondo del lavoro e altro, partendo da costrutti ideologici nati non dal confronto con la realtà vissuta da milioni di persone, ma dal pensiero di think tank elitari che ritengono di dover educare un popolo rozzo e ignorante.
Ascolto, dialogo, costruzione attiva e partecipata del sapere, sono elementi fondamentali sia in ambito pedagogico che politico, se si vuole costruire una società dove non si realizzi la “negazione di noi stessi come esseri umani, sottomessi alla ferocia dell’etica del mercato”, ma si possa trovare grande forza nell’etica della solidarietà, perché “La libertà di commercio non può porsi al di sopra della libertà dell’essere umano”
Ci sono buone probabilità che quei ragazzi che non chiudono né porti né porte ai propri compagni, cercando di includere tutti nel rispetto delle diversità, siano cresciuti incontrando anche atteggiamenti educativi di questo tipo, orientati non al dominio, ma all’umanizzazione.