Il nuovo report di Save the Children “Riscriviamo il futuro, l’impatto della povertà educativa digitale” fa luce sulle criticità generate dalla pandemia, dal lockdown e dalla didattica a distanza nelle famiglie più disagiate del Paese. Nell’anno di pandemia la didattica a distanza ha caratterizzato le vite di milioni di studenti e studentesse in Italia. Ma nonostante il tanto tempo passato di fronte agli schermi di pc e tablet, molti di loro risultano impreparati e senza le necessarie competenze per affrontare il mondo digitale che si è loro aperto davanti. Si è configurato in questo periodo una nuova dimensione della povertà educativa, la povertà educativa digitale. È quanto si legge nel report aggiornato al 4 giugno 2021.
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Povertà educativa digitale e social
La povertà economica ha come diretta conseguenza il ‘learning loss’ – ovvero la perdita in termini educativi, subita dai minori a causa della chiusura delle scuole.
Il report segnala che secondo alcune indagini svolte a livello internazionale, si stima che circa un miliardo e mezzo di bambini e adolescenti in più di 190 paesi al mondo (il 94% della popolazione studentesca mondiale), abbia subìto un’interruzione educativa, vanificando i traguardi conseguiti negli ultimi decenni per garantire l’accesso all’educazione di base per tutti.
Secondo l’Istat, il 12,3% dei minori tra i 6 e i 17 anni non ha avuto a disposizione durante la pandemia né pc né tablet, strumenti fondamentali per restare al passo della didattica a distanza. In alcune regioni del Mezzogiorno, la percentuale arriva al 19%.
Il learning loss si configura non solo come mancato accesso alle connessioni e agli strumenti digitali, né soltanto come mancata alfabetizzazione digitale (quindi incapacità di utilizzare un software di calcolo o di scrittura, un browser, un motore di ricerca o di salvare un file), ma anche come incapacità di usare in modo corretto, appropriato, consapevole, critico i social media.
In ambito social, cioè, la povertà educativa si manifesta anche come impossibilità di configurare un profilo su un canale social in sicurezza, rispetto della privacy e della propria immagine. E questo fenomeno porta con sé spesso anche l’incapacità di conoscere, comprendere, accettare e rispettare la diversità delle identità, degli stili di vita, delle culture altrui nel mondo digitale, che può sfociare, in casi estremi, non solo nel semplice disconoscere la netiquette ma in vera e propria discriminazione, intolleranza e cyberbullismo.
I ragazzi non hanno percezione dei propri limiti
Un dato particolarmente interessante del report di Save the Children è che i minori, nonostante sul fronte strettamente digitale riconoscano le proprie difficoltà, ad esempio, a inserire link interattivi in un testo, a caricare o a scaricare risorse da siti web, a utilizzare i programmi di Office (Word, Excel, PowerPoint), sul fronte social, al contrario, questo riconoscimento non c’è, poiché i ragazzi tendono a sovrastimare le proprie abilità, il che significa che non hanno neanche consapevolezza delle criticità e dei pericoli dello strumento che usano, quando lo hanno a disposizione. In altre parole condividono immagini, video, informazioni online con leggerezza, senza porsi il problema della sicurezza in rete. La ricerca svela che appena un terzo o meno del campione si dichiara preoccupato dalla possibilità di pubblicare dati sensibili o dare una visione sbagliata di se stessi, o ancora di essere vittima di episodi di cyberbullismo; e meno di un quarto si preoccupa di non sapere riconoscere notizie false o ricevere immagini o commenti non graditi.
Il ruolo dei genitori
Il ruolo dei genitori è essenziale. Ne abbiamo discusso più volte anche nella rubrica della Tecnica della Scuola SOS Genitori, così come nella diretta della Tecnica della Scuola Live dedicata al cyberbullismo.
Quanto si riscontra, purtroppo, è che anche genitori con livelli di educazione elevati tendano a sottovalutare il problema della sicurezza in rete e della privacy. Il capitale socioeconomico e culturale della famiglia, insomma, non si traduce necessariamente in maggiori competenze dei minori in relazione alla capacità di gestire la propria immagine, e quella altrui, nonché di riconoscere fake news e manipolazioni online.
Il ruolo della scuola
Anche la scuola deve fare dei passi avanti. Spiega il rapporto di Save the Children: Un numero consistente di minori appartenenti al campione (più di un terzo), infatti, ha affermato che prima dello scoppio della pandemia COVID-19 e l’avvio della didattica a distanza, non aveva mai utilizzato un personal computer a scuola o la LIM. Molti di loro hanno anche dichiarato di affrontare l’emergenza e la scuola ‘virtuale’ senza un’adeguata preparazione, condizione che pensano riguardi anche i loro docenti.
Al tempo stesso, la più parte di loro afferma di non aver appreso durante l’ultimo anno a riconoscere le notizie false online, e nessuno di loro di aver acquisito conoscenze sui rischi relativi all’invio di immagini personali.
Diventa necessario aprire la strada nel nostro Paese all’adozione di strumenti di monitoraggio e valutazione delle competenze digitali degli alunni, con l’obiettivo di colmare il divario esistente con la maggioranza dei Paesi membri dell’Unione Europea.
Conclude il rapporto: L’osservazione e la valutazione del livello di competenze e le dinamiche che le caratterizzano sono elementi essenziali per lo sviluppo di programmi, progetti e politiche pubbliche volte a combattere efficacemente un fenomeno, quello della povertà educativa digitale, che, come abbiamo visto, colpisce una percentuale molto elevata di minori. Al tal fine, lo strumento propone di misurare la povertà educativa nell’ambito digitale al di là delle semplici competenze ‘cognitivo-scolastiche’, integrando anche altre dimensioni della privazione, altrettanto importanti per lo sviluppo e la crescita educativa e sociale dei minori, e relative all’apprendimento per comprendere se stessi, gli altri ed il mondo. Queste competenze sono essenziali per garantire la pienezza dei diritti dell’infanzia nell’era digitale.