Un milione 131mila minori in condizione di povertà assoluta: oltre un bambino su dieci in Italia vive al di sotto del livello di vita minimo ritenuto accettabile. E più di due milioni (un bambino su cinque) sono in condizioni di povertà relativa, cioè sotto gli standard di vita prevalenti nel nostro Paese. Mentre il Pil cresce (seppur di poco) e la disoccupazione diminuisce (seppur di poco), lasciando spazio ai proclami politici: l’Istat fotografa una situazione disastrosa ma ignorata dalla politica che parla solo di pensioni e finanze pubbliche, ma non di bambini.
Mentre la povertà tra i bambini cresce, il Piano nazionale infanzia è fermo da un anno. Dal 28 luglio del 2015, il Consiglio dei ministri non ha ancora trovato il tempo per approvarlo. Stessa cosa vale per l’Osservatorio nazionale infanzia, la cui composizione è scaduta lo scorso 17 giugno. Spetta al presidente del Consiglio nominare alcuni dei membri, ma ancora non è stato fatto. I bambini non votano, non hanno un sindacato. E quindi possono aspettare.
Con le nascite in calo costante, in un Paese vecchio i più piccoli contano sempre di meno. E stanno sempre peggio: in dieci anni l’incidenza della povertà assoluta tra i bambini è cresciuta dal 3,9% del 2005 al 10,9% del 2015.
L’indigenza, spiegano dall’Istat, diminuisce all’aumentare dell’età della persona di riferimento. Il valore più basso, 4%, non a caso si trova tra le famiglie con una persona di riferimento ultra 64enne. La spesa pubblica, d’altronde, è tutta sbilanciata sui più anziani.
E il disagio economico è più diffuso se all’interno della famiglia sono presenti figli minori: l’incidenza di povertà, al 15,8% tra le coppie con due figli e al 28% tra quelle che ne hanno almeno tre, sale al 20,2% e al 34,7% se i figli hanno meno di 18 anni. Soprattutto al Mezzogiorno, dove è povero il 43,7% delle famiglie con tre o più figli minori. Accade così che nel Paese del Family Day, «le famiglie sono sempre più sole, e i minori ne risentono».
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Con le nascite in calo costante, in un Paese vecchio i più piccoli contano sempre di meno. E stanno sempre peggio: in dieci anni l’incidenza della povertà assoluta tra i bambini è cresciuta dal 3,9% del 2005 al 10,9% del 2015
E la povertà economica, poi, si traduce in povertà educativa. Gli studi dicono che la condizione di povertà nell’infanzia influenza il resto della vita. E in effetti i risultati dei test Pisa Ocse sono direttamente proporzionali alle condizioni socio-economiche delle famiglie: nelle famiglie più povere, i punteggi raggiunti sono più bassi. In Italia, il 48% dei minori tra 6 e 17 anni non ha letto neanche un libro, se non quelli scolastici, nell’anno precedente. E infatti secondo i dati di Save The Children, ci sono 340mila bambini e adolescenti costretti a lavorare. Spesso per aiutare le famiglie, anche con i pochi spiccioli guadagnati servendo il caffè in un bar.
Mentre la povertà tra i bambini cresce, il Piano nazionale infanzia è fermo da un anno. Dal 28 luglio del 2015, il Consiglio dei ministri non ha ancora trovato il tempo per approvarlo
Per il resto, le forme di sostegno allo studio, le attività educative ed extrascolastiche sono lasciate per lo più sulle spalle di volontari e fondazioni private. Beni e servizi essenziali garantiti, i bambini ne hanno pochi. Tutto è lasciato alle famiglie. E se le famiglie stanno male, stanno male anche loro. In Calabria, il 78% delle elementari non fa ancora l’orario pieno.
Se non si interviene nella prevenzione e si continua a tagliare sui minori, il costo sociale lievita. Ed è altissimo». Insomma, sui bambini non si risparmia: se non si investe sulla prima infanzia, alla fine il conto si presenta. Ed è salato.