Avevano promesso un’estate calda e sono stati di parola: i precari della scuola scenderanno nella piazza simbolo del Governo, a Montecitorio, il prossimo 23 luglio. A soli cinque giorni dall’incontro a Roma dei delegati di tutte le organizzazioni ed associazioni che tutelano il personale non di ruolo è così arrivato il primo atto di protesta ufficiale in difesa della scuola pubblica statale, per contrastare la politica dei tagli agli organici del governo e tutelare i diritti di docenti pluriabilitati ed ipertitolati ma ancora precari.
Precari di parola: sit-in il 23 luglio a Montecitorio
Il sit-in si svolgerà a Roma vicino l’obelisco di piazza Montecitorio dalle 11,00 alle 17,00: i precari avevano chiesto una spazio orario maggiore, ma la questura romana ha concesso solo sei ore di manifestazione. E così si sono dovuti accontentare. Ma assicurano che saranno comunque sufficienti per farsi sentire: tutte le associazioni, i comitati, le organizzazioni e i gruppi di docenti presenti all’incontro romano del Galilei dell’11 luglio hanno preannunciato che risponderanno compatti. E c’è da credergli, considerato il momento particolarmente delicato per la categoria.
Oltre che il ritiro degli articoli che riguardano la scuola contenuti nel dl n. 112, i precari chiederanno a gran voce dei provvedimenti da parte delle istituzioni che tutelino tutti coloro che sono inseriti nelle graduatorie ad esaurimento: una norma che mantenga in pratica in “vita” le attuali liste dei precari – dove sono inseriti circa 300.000 vincitori di concorso e abilitati Ssis – fino al loro totale svuotamento.
Se venisse infatti approvato il nuovo reclutamento presentato dall’on. Valentina Aprea, attualmente in discussione presso le commissioni Cultura di Camera e Senato, così come è strutturato oggi, le possibilità di prendere il ruolo per gli attuali precari diventerebbero infatti sempre più ridotte: alla progressiva riduzione di posti vacanti disponibili si andrebbe ad aggiungere la concorrenza dei nuovi abilitati. Una infelice lotta tra generazioni diverse. Di cittadini che negli anni hanno avuto una sola “colpa”: volere fare gli insegnanti.