Precari, per Confindustria le graduatorie hanno fatto il loro tempo: largo al merito
Per risolvere il precariato della scuola, la soluzione da adottare non è più quella tradizionale di premiare anzianità, posizioni migliori nelle graduatorie e diritti acquisiti: basterebbe semplicemente abbattere il numero dei contratti a tempo determinato e attuare le assunzioni in base al merito, quindi attraverso la chiamata diretta. A sostenerlo è stata la presidente degli industriali, Emma Marcegaglia, durante il suo intervento davanti ai giovani di Confindustria a Santa Margherita Ligure. La leader degli industriali ha detto la sua dopo che il tema dell’abuso dei contratti a termine era stato posto pochi minuti prima, sullo stesso palco, dal ministro dell’Economia, Giulio Tremonti.
“Siamo assolutamente pronti a ragionare su dove ci sono abusi“, come alcune “forme strane di cocopro“, ha spiegato la Presidente, che ha tenuto puntualizzare come tuttavia la soluzione “non può passare tout court attraverso la trasformazione dei contratti flessibili in contratti a tempo indeterminato, come sta avvenendo nella scuola perchè così viene meno il merito“. Così per la Marcegaglia “anziché premiarlo” prevale “la logica dell’anzianità e dei diritti acquisiti“. Secondo gli industriali è quindi giunto il tempo di “ragionare delle regole“.
A Confindustria, quindi, non basta programmare annualmente il numero di posti da riservare alle assunzioni, sulla base degli effettivi posti vacanti, e bandire dei concorsi per accedere ai corsi di abilitazione (come previsto dalla riforma del settore, pronta ad essere attuata): se il Governo è d’accordo, sostengono sempre gli industriali attraverso il proprio Presidente, bisogna avere il coraggio di annullare le liste di attesa provinciali.
La selezione verrebbe fatta con modalità più privatistiche, guardando meno ai titoli e più alle effettive capacità. Tra l’altro, un’ipotesi di questo genere troverebbe d’accordo sicuramente il Pdl: tanto che dopo il ministro Gelmini, di recente anche il presidente della Commissione Cultura della Camera, Valentina Aprea, ha fatto sapere che sull’abbandono del reclutamento tramite graduatorie, con l’avvio graduale della chiamata diretta, il Governo sarebbe propenso a dire sì.
Chi non è sicuramente d’accordo con certi stravolgimenti del modo di assumere il personale scolastico, al pari di quello di tutto il pubblico impiego, sono invece i sindacati. Basti pensare che nella stessa giornata in cui Marcegaglia indicava la nuova strada da percorrere, durante la Festa del sindacato, il segretario generale della Cisl, Raffaele Bonanni, peraltro tra i più moderati rispetto alle posizioni del Governo, ha tenuto a far sapere al Governo che “non accetteremo alcun colpo sulla contrattazione”. Considerando che per introdurre una modalità diversa delle assunzioni, più incentrata sul merito, bisognerà per forza di cose anche rivedere l’attuale assetto di contratto, la prova di forza è assicurata.
Bonanni ha anche detto che “non accetteremo tagli sulla scuola, il pubblico impiego e il Welfare“. Per poi aggiungere che “non si possono adottare quelle soluzioni che ci permettono di rivoltare la pubblica amministrazione come un calzino. Il ministro della Funzione pubblica – ha affermato riferendosi a Renato Brunetta – parla di tante riforme, ma senza contrattazione non ci sono garanzie. Altrimenti è un’operazione da Gattopardo: cambiare tutto a chiacchiere per lasciare tutto com’è“.
Della scuola si è parlato anche per commentare lo studio di Bankitalia sulle retribuzioni nella pubblica amministrazione: sarebbero passate da una media di 23.813 euro l’anno a 29.165, un aumento triplo rispetto al totale degli stipendi (+6,8%, da 21.029 a 22.467 euro all’anno). In una nota congiunta i presidenti di Adusbef e Federconsumatori, Elio Lannutti e Rosario Trefiletti, si sono chiesti se “tra le ‘generose’ retribuzioni del pubblico impiego calcolate dalla Banca d`Italia,sono stati compresi gli stipendi dorati (1 milione di euro) del Governatore Draghi e del direttorio (500.000 euro) che essendo pari a quella di 66 supplenti precari della scuola che arrivano a stento a 16.000 euro lordi l`anno“.
Adusbef e Federconsumatori hanno giudicato lo studio “gravemente scorretto e posticcio, che non fa onore alla tradizione della Banca d`Italia, perché non si possono mischiare gli aumenti di manager, dirigenti, prefetti, ambasciatori e generali con quelli dei semplici lavoratori e di migliaia di precari i quali, specie nel mondo della scuola, prendono 1.300 euro al mese per 8-9 mesi (non essendo pagati a luglio,agosto e fino a quando non ottengono la supplenza), studio che avrebbe avuto l`obbligo di scorporare,tra gli aumenti retributivi, quelli delle fasce più elevate“.