Si dice che la scuola sia un mondo a sé. Che le regole che governano la formazione dei cittadini italiani e di circa un milione tra docenti e addetti vari sono molto diverse rispetto a quelle da altri settori, per definizione più legati alla produttività e meno alla burocrazia dettata a livello centrale (come invece avviene nella scuola). Probabilmente un fondo di verità in questo discorso esiste. Ancor di più dopo aver preso conoscenza del profilo medio del precario in Italia.
Secondo un`analisi realizzata dalla Cgia di Mestre un lavoratore privo di contratto a tempo indeterminato (dipendente a termine o part time involontario, collaboratore o intestatario di partita Iva) percepisce mediamente 836 euro al mese, solo nel 15% dei casi ha una laurea, lavora spesso nella Pubblica amministrazione e opera in prevalenza nel Mezzogiorno. Ora, se si eccettua il dato sul datore di lavoro, la Pa, il resto non sembrano riguardare i precari della scuola. I quali guadagnano poco, ma sicuramente più di quanto indicato, come stipendio base, dalla media realizzata dalla Cgia, sono in larga parte docenti laureati e si concentrano laddove si presentano il maggior numero di posti vacanti, quindi nel Settentrione.
Se si approfondisce la ricerca del sindacato degli artigiani la “musica” non cambia. In termini assoluti l`esercito dei precari è pari a 3.315.580 unità, e la retribuzione netta mensile media tra i giovani con meno di 34 anni è di 836 euro. Questa retribuzione sale a 927 euro mensili per i maschi e scende a 759 euro per le donne. Per quanto riguarda il titolo di studio, quasi uno su due (per l`esattezza il 46% del totale) ha un diploma di scuola media superiore, il 39% circa ha concluso il percorso scolastico con il conseguimento della licenza media e solo il 15,1% è in possesso di una laurea.
A livello territoriale è il Sud che ne conta il numero maggiore.
Se oltre 1.108.000 precari lavorano nel Mezzogiorno (pari al 35,18% del totale), le realtà più coinvolte, prendendo come riferimento l`incidenza percentuale di questi lavoratori sul totale degli occupati a livello regionale, sono la Calabria (21,2%), la Sardegna (20,4%), la Sicilia (19,9%) e la Puglia (19,8%).
L’unico dato che accomuna la scuola col resto dei precari, come già rilevato, è l’alta concentrazione nel Pubblico impiego: “nella scuola e nella sanità – scrive la Cgia – ne troviamo 514.814 (in base alle nostre stime nella scuola dovrebbero sfiorare i 300mila, oltre due terzi dei quali docenti ndr), nei servizi pubblici e in quelli sociali 477.299. Se includiamo anche i 119.000 circa che sono occupati direttamente nella Pubblica amministrazione (Stato, Regioni, Enti locali, etc.), il 34% del totale dei precari italiani è alle dipendenze del Pubblico (praticamente uno su tre). Gli altri settori che registrano una forte presenza di questi lavoratori atipici sono il commercio (436.842), i servizi alle imprese (414.672) e gli alberghi ed i ristoranti (337.379)”.
Ma c’è un ultimo dato su cui vale la pena soffermarsi: se i precari della scuola si confermano atipici tra gli atipici, è altrettanto vero che la loro peculiarità si rafforzerebbe andando a verificare i tempi medi di attesa riscontrati a per ottenere la trasformazione del rapporto di lavoro da tempo determinato a indeterminato. La Cgia di Mestre non ha rilevato questo dato. Ma chi opera nel settore dell’Istruzione sa bene che i precari della scuola su questo versante sono (purtroppo!) dei primatisti.
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