Una recente sentenza che ha coinvolto una lavoratrice dipendente di un Ente Locale, ha posto l’accento su una questione che è perfettamente riconducibile al comparto scuola: i precari che hanno lavorato oltre il termine 36 mesi fissato dall’Unione Europea per i contratti a tempo determinato, hanno diritto solo al risarcimento oppure alla conversione del contratto da tempo determinato a tempo indeterminato?
Come riporta il sito lentepubblica.it, dal 1996 il dipendente in questione ha prestato attività lavorativa con contratto di collaborazione coordinata e continuativa fino alla fine del 2010, stipulando in seguito con tale Comune un contratto di lavoro subordinato a tempo parziale con scadenza il 31 dicembre 2012. Tale contratto, il quale è stato prorogato tre volte, è cessato il 31 dicembre 2016 ed ha pertanto avuto una durata complessiva di più di cinque anni.
Il dipendente ha deciso di fare ricorso chiedendo segnatamente, in via principale, la conversione di detti contratti in un contratto di lavoro a tempo indeterminato a partire dalla fine del 36º mese e, in subordine, il risarcimento del danno subito.
Tuttavia il giudice non fornisce la risposta che il ricorrente si aspettava: infatti, secondo l’articolo 36, comma 5, del decreto legislativo n. 165/01, la violazione reiterata, da parte della pubblica amministrazione, del divieto di concludere un contratto di lavoro a tempo determinato non può dar luogo alla trasformazione di detto contratto di lavoro in un contratto a tempo indeterminato.
Ecco la risposta dell’avvocato generale, testualmente:
La direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato e l’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato figurante in allegato a tale direttiva, nonché la loro efficacia pratica, non ostano ad una normativa nazionale come quella di cui al procedimento principale la quale, in caso di ricorso abusivo, da parte di un datore di lavoro pubblico, ad una successione di contratti di lavoro a tempo determinato, esclude la conversione del rapporto di lavoro nel settore pubblico, benché riconosciuta nel settore privato quale misura sanzionatoria, e prevede come contropartita:
– un’indennità forfettaria compresa fra 2,5 e 12 mensilità dell’ultima retribuzione accordata al dipendente pubblico, vittima di un’abusiva reiterazione di contratti di lavoro a tempo determinato, a condizione che tale indennità costituisca una misura sufficientemente dissuasiva, il che può essere assicurato segnatamente attraverso la determinazione dei suoi limiti crescenti in funzione della durata del ricorso abusivo ai contratti a tempo determinato o tramite l’effetto combinato di qualsiasi altra misura sanzionatoria prevista nel diritto nazionale;
– la possibilità per il lavoratore di ottenere la riparazione del danno effettivamente subito, mentre il diritto a tale riparazione è subordinato all’obbligo, incombente a tale lavoratore, di provare la perdita di opportunità di lavoro stabile oppure che, se fosse stato bandito un regolare concorso dall’amministrazione, lo stesso lo avrebbe vinto.
In poche parole, il risarcimento non può equivalere al valore del posto a tempo indeterminato, perché se così fosse, si andrebbe ad attribuire al ricorrente una somma superiore al danno effettivamente subito, ovvero i redditi di un lavoro a tempo indeterminato.
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