C’è una modifica normativa nel pacchetto di mutazioni del Decreto Dignità, con cui si vogliono salvare i precari storici della scuola. Ed ha buone possibilità di arrivare all’approvazione finale, perché l’emendamento al decreto è già stato concordato da M5S e Lega: l’intenzione è quella di superare il limite di 36 mesi per le supplenze introdotto con la Buona Scuola, oltrepassato il quale il personale amministrativo, tecnico e ausiliario, oltre agli insegnanti, invece della stabilizzazione si sarebbe ritrovato indietro di anni, tornando a potere accettare solo le supplenze di breve durata (su giorni di malattia, maternità, permesso, ecc.).
Lo stop ai contratti a termine sarebbe scattato, per i primi supplenti, già l’anno prossimo, quindi nel 2019: il comma 131 della Legge 107 del 2015, prevede infatti che oltre i 36 mesi di servizio, da conteggiare partendo dal 1° settembre 2016, il precario non avrebbe potuto più accedere alle supplenze annuali su posti liberi.
La norma della Buona Scuola, infatti, prevedeva che a decorrere dal 1º settembre 2016, i contratti di lavoro a tempo determinato stipulati con il personale docente, educativo, amministrativo, tecnico e ausiliario presso le istituzioni scolastiche ed educative statali, per la copertura di posti vacanti e disponibili, non possono superare la durata complessiva di trentasei mesi, anche non continuativi.
Il governo Renzi, in pratica, evitando di assegnare supplenze su posti liberi, aveva pensato di bloccare sul nascere qualsiasi pretesa di assunzione tramite i tribunali: i precari, docenti e Ata, nell’intento del Pd, avrebbero di fatto potuto continuare a fare supplenze, ma solo di breve durata, quindi su posti in realtà occupati e liberi solo per motivi di forza maggiore.
Per diventare insegnanti di ruolo, invece, avrebbero dovuto per forza vincere un concorso pubblico, come del resto prevede la legge italiana per entrare nei ruoli dello Stato.
Tra gli ideatori dell’emendamento al decreto Dignità, già ribattezzato “salva-precari”, c’è sicuramente il senatore Mario Pittoni, responsabile federale Istruzione della Lega e presidente della VII Commissione di Palazzo Madama, il quale è anche primo firmatario di un disegno di legge che reinterpreta a vantaggio dei lavoratori della scuola quanto sancito dalla sentenza della Corte di giustizia europea emanata il 26 novembre del 2014: i 36 mesi indicati dai giudici europei, infatti, sono stati considerati come una soglia da superare per raggiungere, in modo automatico, l’immissione in ruolo.
Evitare a priori che ciò avvenga, come è stato stabilito dal legislatore dell’ultima riforma della scuola, ha invece di fatto sovvertito lo spirito dell’indicazione sovranazionale. E ora il nuovo governo vuole cancellare quella discutibile norma che rischiava di precarizzare a vita migliaia di lavoratori non di ruolo della scuola.
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