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Precari, uno su due si è fermato alla licenza media. La scuola è un’eccezione

Se un cittadino italiano ha problemi con la scuola, fermandosi al conseguimento della licenza media, molto spesso le difficoltà vengono riscontrate anche in campo lavorativo. La conferma giunge da una recentissima indagine, pubblicata il 31 luglio, realizzata dalla Cgia di Mestre in base alla quale risulta che oggi in Italia quasi un precario su due ha al massimo la licenza media, mentre solo il 16,6% ha raggiunto la laurea.

Questi i “freddi” numeri: su un totale di oltre 3,751 milioni di lavoratori senza contratto di lavoro stabile, oltre 1.708.400 (il 45,5%) non ha proseguito gli studi dopo aver terminato la scuola dell’obbligo. I giovani neolaureati, invece, sono solo il 15,5% (in valore assoluto 582.950 persone), cui va aggiunto un altro 1,1% (pari a 43.021 persone) di lavoratori instabili che ha ottenuto anche il diploma post-laurea.
Come noto, è il Sud a mostrare la presenza più significativa di lavoratori flessibili: sono quasi 1 milione e 320 mila, pari al 35,18% del totale. Seguono il Nord-ovest con 935.133 precari (il 24,92% del totale), il Centro con 813.627 (21,68%) e il Nord-est con 682.606 (18,19%).
“Questi precari con basso titolo di studio – ha commentato il segretario della Cgia, Giuseppe Bortolussi – sono in questa fase di crisi economica quelli più a rischio. Nella stragrande maggioranza dei casi svolgono mansioni molto pesanti da un punto di vista fisico e, per questo, ritengo che la formazione debba essere posta al centro di qualsiasi attività che abbia come obiettivo la professionalizzazione di tutti e, in particolare, di questi lavoratori”.
Il sindacato ha anche spiegato che sul totale degli occupati italiani, l’incidenza dei lavoratori senza contratto a tempo indeterminato è del 16,3%, mentre al netto di quelli presenti nella pubblica amministrazione l’incidenza si contrae a circa il 13%.
Se però si va a considerare una fetta “particolare” dei dipendenti pubblici, quella delle scuola, il quadro cambia. E di molto. In base agli ultimi dati emessi dalla Ragioneria Generale dello Stato risulta, infatti, che i docenti di ruolo in possesso di laurea sono il 54%: poco più di 324 mila su un totale di poco più di 700 mila. E lo stesso vale per il personale non di ruolo. Mentre meno della metà dei docenti italiani non è laureato (quasi tutti alla scuola dell’infanzia ed oltre l’80% alla primaria): si è poi fermato al diploma il 51% dei supplenti annuali ed il 35% di quelli incaricati sino al termine delle attività didattiche (tipologia di contratti a termine in molti casi sottoscritti nelle superiori). Pochi i laureati anche nel settore amministrativo: basta dire che ha portato a termine un corsi di studi universitario meno del 20% dei Direttori dei servizi generali e amministrativi. Nessuno però si è fermato al diploma di licenza media. Gli stessi collaboratori scolastici – nelle scuole d’Italia circa 150.000 che in moltissimi casi non sono andati oltre la terza media – meritano una riflessione: l’ultimo Ccnl prevede che debbano aver conseguito almeno un attestato professionale.
L’anomalia della scuola diventa ancora maggiore quando si riflette sui dati di presenza dei precari rispetto al personale di ruolo: il 15-20% del personale docente ed oltre il 30% tra amministrativi, tecnici ed ausiliari. Tutti supplenti che, in larga parte, come minimo hanno il diploma.
In questi casi può appare utile ricordare un ‘passo’ di una delle più celebri poesie del poeta romanesco Trilussa: “…da li conti che se fanno seconno le statistiche d’adesso risurta che te tocca un pollo all’anno: e, se nun entra nelle spese tue, t’entra ne la statistica lo stesso perch’è c’è un antro che ne magna due”.
Alessandro Giuliani

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