La questione delle assunzioni del personale precario ritorna sempre più frequentemente nel dibattito sindacale di queste ultime settimane.
Uno dei nodi più difficili da affrontare riguarda il problema posto di recente dalla Corte Costituzionale in merito alla impossibilità di reiterare per più di tre anni i contratti a tempo determinato.
La Consulta, come si sa, ha deciso di trasmettere gli atti alla Corte di Giustizia europea che dovrebbe pronunciarsi prossimamente.
Alcuni sindacati (Flc-Cgil e FGU-Gilda soprattutto) nei loro comunicati sottolineano come il modesto numero di assunzioni potrebbe essere rimesso in discussione proprio quando la Corte europea si sarà pronunciata.
Ma la questione non è così semplice come può apparire.
Intanto c’è da dire che nel pubblico impiego l’impossibilità di trasformare incarichi a tempo determinato in assunzioni stabili è sancita (indirettamente) dalla stessa Carta costituzionale che stabilisce che ai pubblici impieghi si accede solo per via concorsuale.
Tanto è vero che una delle soluzioni alle quali il Governo sta pensando è proprio quella dei concorsi riservati (pare che una disposizione in tal senso sia contenuta nel cosiddetto “Decreto D’Alia”).
La Corte europea, d’altronde, non ha il potere di adottare provvedimenti che contrastino con principi costituzionali dei singoli Paesi membri; tutt’al più potrebbe argomentare che, in Italia, i pubblici dipendenti che hanno alle spalle tre anni consecutivi di lavoro a tempo determinato, se vengono assunti per il quarto anno devono essere stabilizzati.
Ma, paradossalmente, è ben difficile che la Corte europea possa imporre all’Italia di trasformare i contratti pubblici precari in contratti a tempo indeterminato.
Di mezzo, c’è sempre la Costituzione che non può essere chiamata in causa a giorni alterni a seconda degli interessi di parte da difendere in un dato momento.
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