Riceviamo e volentieri pubblichiamo l’intervista realizzata da Antonella Mongiardo a Maria Antonietta De Fazio, di Lamezia Terme, docente di Matematica e fisica e Rappresentante sindacale unitaria
Il prossimo anno scolastico vedrà diverse novità nel mondo della scuola. Una delle più controverse riguarda il bonus premiale, introdotto dalla riforma Renzi al fine di valorizzare la professionalità degli insegnanti e oggetto di recenti modifiche legislative.
L’intenzione iniziale, probabilmente, era anche buona: introdurre un principio di meritocrazia (questa sconosciuta!) nella scuola, affermare la centralità del ruolo del docente e l’importanza della sua valorizzazione nella scuola dell’autonomia. Ecco perché la “Buona Scuola” aveva previsto che i dirigenti scolastici assegnassero ogni anno un “bonus” premiale ai professori ritenuti “meritevoli”, sulla base di criteri stabiliti dai comitati di valutazione dei docenti.
Tuttavia, l’assegnazione del bonus da parte di molti presidi, in questi anni, è stata oggetto di forti polemiche da parte dei sindacati.
A scatenare il malcontento nelle scuole è stato soprattutto il fatto che i criteri scelti dai comitati di valutazione siano stati legati più alla collaborazione con i Ds che alla qualità dell’insegnamento.
Pessima lettura, a mio avviso, della normativa. La legge 107/2015 sancisce, infatti, che i criteri per la valorizzazione del merito debbano essere individuati sulla base di parametri quali la qualità professionale dei docenti; il contributo dato al successo formativo degli alunni, nonché al miglioramento dell’istituzione scolastica; i risultati ottenuti dal docente in relazione al potenziamento delle competenze degli allievi e dell’innovazione didattica e metodologica; la collaborazione alla ricerca didattica, alla documentazione e alla diffusione di buone pratiche e le responsabilità assunte nel coordinamento organizzativo e didattico.
In pratica, secondo molti sindacati, quello istituito dalla ‘Buona Scuola’ non è un sistema che consente di premiare davvero un bravo insegnante, ma è, di fatto, un incremento del fondo di istituto, con soldi messi a disposizione del dirigente, per premiare chi vuole.
La nuova legge di bilancio ha modificato questo punto della legge 107, sottraendo il bonus premiale alla discrezionalità dei dirigenti scolastici e facendolo passare dalla contrattazione integrativa di istituto. Dunque, la destinazione delle risorse destinate alla valorizzazione dei lavoratori della scuola dovrà essere negoziata con la Rsu, al pari delle altre somme del Fondo di Istituto, e potrà essere desinata anche al personale non docente.
Su questo ed altri aspetti della vita scolastica ci siamo confrontati con la professoressa Maria Antonietta De Fazio, di Lamezia Terme, docente di Matematica e fisica e Rappresentante sindacale unitaria.
La legge di Bilancio è entrata in vigore il primo gennaio 2020, dunque anche la norma che trasferisce nel Fondo di Istituto la somma destinata a ciascuna istituzione scolastica per la valorizzazione del merito degli insegnanti (quelle somme che erano prima destinate esclusivamente ai docenti), ora dovranno essere distribuite a tutto il personale scolastico. Tutte le somme che costituiscono il Fondo di Istituto saranno oggetto di contrattazione tra DS e RSU, ma ancora il criterio di assegnazione è oggetto di discussione negli incontri tra il MIUR e le Organizzazioni Sindacali Nazionali (l’ultimo è stato lo scorso 10 febbraio), per cui aspettiamo che si faccia chiarezza e, soprattutto, che ci sia una modalità uniforme e univoca di utilizzo di questa risorsa economica nel rispetto della legge.
Quella del docente è una professione intellettuale, non misurabile e difficilmente valutabile. L’insegnante è chiamato a governare il processo di insegnamento e apprendimento, che dipende molto dal contesto sociale e dalle condizioni di partenza degli allievi. Una professionalità così complessa difficilmente può essere inquadrata in criteri che risultano poco adeguati a questa tipologia di professione. Lo strumento introdotto dalla cosiddetta “Buona scuola”, cioè il “bonus merito”, non ha avuto alcun effetto migliorativo sulla scuola pubblica, ma ha solo accentuato situazioni di conflitto e di inutile competitività tra i docenti. Servirebbe altro? Beh, gli insegnanti italiani aspettano l’adeguamento dei propri stipendi a quelli dei colleghi europei. Negli ultimi 10 anni, con le riforme che si sono succedute, gli insegnanti si sono visti aumentare considerevolmente il carico di lavoro, ma gli stipendi non sono stati adeguati, così da risultare i più bassi a confronto con quelli percepiti negli altri paesi europei. Ragion per cui sarebbe meglio se le somme del bonus merito confluissero negli stipendi degli insegnanti come parziale adeguamento.
Credo che la presenza dei genitori e degli alunni nel comitato di valutazione sia pressochè inutile, sia perché numericamente tale da non incidere, sia perché non sempre questi rappresentanti sono preparati e adeguatamente informati per esprimere pareri in merito alle questioni. E, infatti, quasi mai apportano contributi pertinenti.
La qualità del lavoro del personale della scuola dipende da molti fattori. Gli insegnanti hanno sempre dimostrato una elevata capacità di adattamento ai cambiamenti, che nella scuola degli ultimi 25 anni sono stati moltissimi e continui. Molto dipende dalla capacità dei Dirigenti Scolastici nel mettere gli insegnanti in condizioni tali da poter esercitare la propria professione al meglio. Le RSU, essendo degli intermediari tra i docenti e il DS, possono contribuire informando, ascoltando e condividendo le scelte con gli altri insegnanti.
Secondo me, le maggiori difficoltà sorgono a causa dell’interpretazione delle norme, che spesso è diversa tra il Dirigente scolastico e le parti sindacali. Nella scuola, le professionalità sono molte e diversificate, con profili complessi; i cambiamenti normativi sono frequenti e spesso i dirigenti scolastici sono impreparati a governare questa complessità, per cui cercano di imporre la propria interpretazione aprioristicamente.
Sicuramente il confronto ha aggiunto un momento importante alle relazioni tra i DS e le RSU, è un’opportunità in più per elaborare meglio e in modo più approfondito gli argomenti oggetto di contrattazione.
Si, questa materia è molto sottovalutata e se ne parla poco. Nella contrattazione è totalmente ignorata, almeno per quanto riguarda la mia esperienza personale. Lo stress da lavoro correlato è un fenomeno in aumento. Le cause sono, a mio parere, una eccessiva burocratizzazione del lavoro, la retribuzione insoddisfacente, l’organizzazione che cambia continuamente, ma anche l’aumento delle difficoltà nei rapporti con colleghi, studenti, famiglie e dirigenti. Secondo me, ad aver ulteriormente amplificato lo stress è stata proprio l’introduzione del Bonus premiale. A tal proposito, faccio mia una considerazione dell’ex ministro Fioramonti: “i dirigenti hanno utilizzato questo strumento come una gratifica in cambio di obbedienza, acquiescenza, omologazione e conformismo”. Il problema dello stress da lavoro correlato è spesso ignorato per timore della critica e dell’isolamento nel quale si potrebbe finire, ma anche per le responsabilità che un’analisi approfondita della situazione potrebbe mettere in evidenza, responsabilità che non sono certamente da attribuire ai docenti.
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