Ancora vicende relative a ricorsi da parte del Tar. Stavolta la situazione è singolare. A presentare l’esposto una studentessa che ha riportato il massimo dei voti alla maturità, in un liceo classico di Genova. Il motivo? A dire suo e della famiglia la ragazza meritava la lode.
Come riporta La Repubblica, i giudici del Tar hanno bocciato il ricorso e condannato la studentessa a pagare 3600 euro di spese legali. Il caso è stato preso molto seriamente dai giudici, che hanno esaminato tutta la documentazione relativa all’esame.
Si è così scoperto che, in alcune prove, il voto della studentessa era stato aumentato al massimo “per effetto di una valutazione più ampia che teneva conto anche delle valutazioni di altri candidati”. Ma il vero problema è che la studentessa non ha brillato. Proprio così, come scrivono i giudici: “Il provvedimento impugnato da conto della mancata dimostrazione, specie all’esito della prova orale, di quella brillantezza che, secondo i criteri articolati dalla stessa commissione, costituiva il presupposto per l’attribuzione della lode”.
Si legge ancora in sentenza: “Risulta che la candidata ha conseguito il punteggio massimo con riferimento a tutti gli indicatori, ad eccezione della ‘capacità di argomentare in maniera critica e personale, rielaborando i contenuti acquisiti’, indicatore rispetto al quale ha ottenuto un punteggio pari a 4,5/5 (ciò ha determinato l’attribuzione di un punteggio complessivo pari a 19,5/20, arrotondato per eccesso a 20/20). Ebbene, l’indicatore da ultimo menzionato, capacità di argomentazione in maniera critica e personale e di rielaborazione, è proprio quello rilevante, in base ai criteri stabiliti dalla commissione, ai fini dell’attribuzione della lode, tra i quali vi è, come detto, quello attinente alle ‘brillanti capacità di analisi e spirito critico'”.
Lo scrittore e giornalista Paolo Di Stefano, su Il Corriere della Sera, qualche mese fa si è inserito nel dibattito relativo agli ormai troppo frequenti ricorsi al Tar da parte di genitori di alunni bocciati, rimandati, o, sembra un controsenso, promossi. Secondo Di Stefano la situazione non è affatto rosea.
Alla base di questi continui casi giudiziari sembra esserci la scarsa fiducia che le famiglie hanno nella scuola: “Tra le famiglie e la scuola i conflitti aumentano e la loro soluzione viene sempre più affidata al giudice amministrativo. Resta aperto il dubbio su tutte le disparità — sociali, geografiche, eccetera — ma ora che i reclami si estendono alle promozioni, c’è da aspettarsi che si entrerà progressivamente nel merito dei voti: e il giudice dovrà sentenziare se era più giusto un 7 o un 6, un 8 o un 5, o viceversa se il 6 era un voto troppo largo per educare davvero all’impegno”, ha detto, con un po’ di sarcasmo.
“Insomma, giudicare chi giudica non è mai un bell’esercizio, ma tanto meno lo è nella scuola, dove la fiducia dovrebbe reggere i rapporti tra docenti e alunni, tra famiglie e insegnanti. C’è da chiedersi che idea si farà della scuola un bambino il cui maestro è stato bocciato dal Tar. E che considerazione avranno di genitori che intervengono comunque a sua protezione? Il sospetto è che nel bilancio totale, il patto preliminare di non belligeranza (con dialogo) dia risultati molto più utili”, ha concluso, pensando alle conseguenze di questo impeto protettivo a tutti i costi dei genitori nei loro figli.
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