Anche i precari più esperti non di rado si trovano in difficoltà nella compilazione della modulistica che viene loro presentata dalle segreterie all’atto dell’assunzione.
La modulistica predisposta dal Ministero non brilla certo per chiarezza e potrebbe creare problemi non da poco in caso di errori nella compilazione.
Il dipendente (docente o personale Ata) appena assunto dovrà dichiarare sotto propria responsabilità di non trovarsi in situazione di incompatibilità.
Trattasi di una dichiarazione del tutto generica, che presuppone in primo luogo che il dipendente conosca perfettamente quali sono le possibili situazioni di incompatibilità.
Accade spesso che giovani laureati – in attesa di essere chiamati per qualche supplenza – svolgano piccole attività, spesso con contratti di collaborazione e con conseguente obbligo di partita iva.
In questo caso, potranno accettare la supplenza, ma unicamente con una prestazione non superiore al 50% del monte ore previsto per tale cattedra o posto.
E ciò, anche in caso di assunzione per una breve supplenza, a meno che non decidano di rinunciare a svolgere tali attività, chiudendo la partita iva.
Qualora dovessero continuare a svolgere l’altra attività in regime di tempo pieno, oltre a possibili sanzioni disciplinari, potrebbero essere costretti a restituire all’Amministrazione tutti i compensi ricevuti per tale ulteriore attività.
Fatti salvi i casi di conflitto di interessi, in linea di principio non dovrebbero sussistere ragioni ostative alla possibilità – per i dipendenti in regime di part time – di svolgere altre attività.
Un’altra tra le dichiarazioni obbligatorie riguarda l’eventuale presenza di precedenti penali.
La stragrande maggioranza degli interessati risponderà agevolmente in negativo alla domanda.
Tuttavia potrebbero esserci casi dubbi, sui quali è opportuno fare chiarezza.
Le regole per l’accesso al p.i. ricalcano quelle relative all’incandidabilità alle elezioni.
Per cui non tutti i reati commessi impediscono automaticamente l’accesso al pubblico impiego.
La Corte di Cassazione con sentenza 37556/2019 ha esaminato il caso di un dipendente le cui condanne non comparivano nel casellario, affermando che egli non era tenuto a dichiarare “nulla più di quanto sarebbe risultato dal certificato penale che sarebbe stato rilasciato al privato o alla pubblica amministrazione”.
Pertanto, per le condanne non menzionate nel casellario giudiziario non c’è obbligo di dichiarazione.
Infatti, il Legislatore ha modificato l’art. 46 del DPR n. 445/2020, prevedendo che la dichiarazione – sotto propria responsabilità – di non aver riportato condanne penali riguardi unicamente i provvedimenti iscritti nel casellario giudiziale, mentre non si è tenuti ad indicare le iscrizioni riguardanti le sentenze di patteggiamento, quelle definite con decreto penale di condanna, o per le quali sia stata concessa la non menzione.
Sulla questione è intervenuto l’USR Piemonte con un’apposita nota di chiarimento (n. 9918 del 7 settembre 2020).
Con tale nota, l’Ufficio Territoriale del Ministero ha ricordato che – a seguito dell’intervenuta modifica della normativa da parte del Legislatore – l’interessato non è più tenuto a dichiarare alcune condanne, tra le quali le condanne per patteggiamento, quando la pena non supera i due anni.
L’Ufficio Territoriale del Ministero ha tenuto a precisare che “l’eventuale omissione di dichiarazioni da parte degli interessati di procedimenti rientranti nelle ipotesi sopra menzionate non è ascrivibile a dichiarazione mendace”.
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