Ha scatenato reazioni a raffica l’azione della procura europea che ha portato agli arresti domiciliari, con l’accusa di corruzione e peculato, della dirigente scolastica Daniela Lo Verde dell’Istituto Comprensivo Giovanni Falcone di Palermo, fino a ieri considerata una preside paladina della legalità e premiata nel 2020 anche col titolo di Cavaliere al Merito della Repubblica. C’è chi si è lasciato andare a conclusioni probabilmente semplicistiche, associando la grave accusa alla preside siciliana, supportata da registrazioni con telecamere nascoste, all’eccesso di potere che avrebbero i dirigenti scolastici.
A pensarla così da tempo è Adriano Fontani, maestro senese licenziato nel 2017 dopo due provvedimenti disciplinari nei suoi confronti prodotti tra il 2005 e il 2009: il maestro, fondatore del Comitato nazionale contro mobbing-bossing scolastico sostiene che “la notizia secondo cui è stata una ex maestra a denunciare e far arrestare per peculato, ruberie e corruttela la dirigente scolastica della sua scuola nel quartiere Zen di Palermo, conferma in pieno ciò che denunciamo da oltre tre lustri: lo strapotere legale, cui si somma quello reale, di cui godono oggi i dirigenti degli 8.136 feudi scolastici del ministero dell’Istruzione che genera un livello altissimo di omertà dentro le scuola e che dà a loro certezza di impunità e ai docenti-sudditi certezza di persecuzioni, mobbing, calunnie e delegittimazioni nel caso venisse loro la voglia di denunciare abusi, ruberie, corruttele, clientelismi”.
Fontani, dopo avere segnalato recenti casi che “hanno portato in tribunale dirigenti scolastiche a Imperia e a Messina”, fa notare che a Palermo la denuncia è stata presentata da un’ex maestra, che qualora si fosse trovata in servizio “avrebbe subito ritorsioni proprio a causa dello strapotere dei dirigenti scolastici“.
Il maestro senese, che ha sempre fatto risalire i suoi problemi con i dirigenti alle pressioni di un gruppo di Testimoni di Geova dei quali faceva parte e dal quale è poi uscito, ha subìto nel corso della carriera diverse contestazioni, fino al licenziamento: la sua vicenda diventò di dominio pubblico e divenne pure oggetto di iniziative parlamentari.
Fontani, che da decenni rivendica una legge a tutela dei docenti, nel 2015 dichiarò alla Tecnica della Scuola che grazie alle “nuove leggi, che conferiscono ai dirigenti sempre più poteri discrezionali e protezioni ai loro abusi da parte delle gerarchie scolastiche superiori, i presidi commettono abusi sempre più sfacciati ed evidenti”.
“Questo – aveva sottolineato il maestro – avviene proprio perchè possono contare sull’impunità ‘interna’. Ha mai avuto notizia di un capo d’Istituto sanzionato o rimosso perchè ‘mobbizzava’ un docente, un Dsga o un Ata? Nemmeno io. E solo pochissimi docenti decidono di affrontate la difficile e costosa strada che porta alle procure e ai tribunali”.
Nel 2019 il giudice del lavoro del Tribunale di Siena annullò i due procedimenti disciplinari e il licenziamento del Maestro Adriano Fontani, disponendo la “reintegrazione del lavoratore ricorrente nel medesimo posto di lavoro e al risarcimento del danno pari ad un’indennità commisurata alla retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione, nella misura massima di dodici mensilità della retribuzione globale di fatto, oltre al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali dal giorno del licenziamento fino a quello dell’effettiva reintegrazione”.