Prendeva avvio 25 anni fa il percorso legislativo che avrebbe trasformato le scuole da semplici organi periferici dello Ministero in istituzioni autonome dotate di una propria personalità giuridica.
Un quarto di secolo è passato e, per la verità, un vero e accurato monitoraggio sugli esiti della riforma non è mai stato fatto: questa mancanza ha determinato in questi anni lo sviluppo di un dibattito basato più sulla “ideologia” che sui fatti accertati.
E così, dopo 25 anni, non si fa ancora un esame obiettivo di cosa sia davvero accaduto nelle scuole in tutto questo tempo ma ci si limita a parlare, non sempre in modo documentato, su ciò che piace o non piace, con non poche contraddizioni.
Una fra tutte: c’è chi sottolinea (e qualche volta a ragione) che l’autonomia ha incentivato la concorrenza fra le scuole, ma si dimentica che lo stesso Regolamento del 1999 (il DPR 275) contiene in sé un antidoto molto forte, e cioè la possibilità per le istituzioni scolastiche di costituire delle reti per la gestione di attività diverse.
Anzi, per la verità, nel Regolamento del 1999, al terzo comma dell’articolo troviamo persino scritto che “l’accordo può prevedere lo scambio temporaneo di docenti, che liberamente vi consentono, fra le istituzioni che partecipano alla rete i cui docenti abbiano uno stato giuridico omogeneo”.
“I docenti che accettano di essere impegnati in progetti che prevedono lo scambio – prosegue la disposizione – rinunciano al trasferimento per la durata del loro impegno nei progetti stessi, con le modalità stabilite in sede di contrattazione collettiva”.
Ovviamente, ma non c’è neppure bisogno di ricordarlo, in questo quarto di secolo né i sindacati né tantomeno l’Amministrazione scolastica hanno mai fatto il benché minimo tentativo di dare una mezza applicazione a questa norma.
E le contraddizioni non si fermano qui perché molto spesso i “detrattori” della autonomia scolastica sono gli stessi che ci ricordano le meraviglie del sistema scolastico finlandese che, appunto, è ben lontano da un modello centralista.
Ancor meno attendibili sono i paragoni con la scuola pre-autonomia che molti descrivono come la scuola dell’età dell’oro, dimenticando che prima della metà degli anni ’90 istituti tecnici e professionali disponevano già di personalità giuridica e, addirittura, potevano in qualche misura autodeterminare almeno in parte i propri organici.
E senza contare che molto spesso chi si dice contrario all’autonomia sembra però apprezzare non poco gli spazi che l’autonomia offre, dalla definizione degli orari e dei curricoli, fino alle decisioni in materia di calendario scolastico.
Certamente l’attuale modello di autonomia deve essere rivisto non fosse altro perché molte cose sono cambiate in 25 anni.
Per esempio dovrebbe essere rivisto il ruolo degli organi collegiali e dovrebbe essere ridisegnata anche la mappa delle responsabilità interne alla scuola, senza trascurare un dato importante: a fine anni ’90 quando si era dato avvio alla autonomia scolastica si era prevista anche un riforma degli organi collegiali territoriali prevedendo la creazione di organi di livello regionale o sub-regionale. Ma, anche in questo caso, né il Ministero né i sindacati hanno mai proposto di avviare un confronto per rendere possibile la riforma.
C’è chi ritiene che rendere elettiva la funzione del “preside” potrebbe servire per risolvere molti dei problemi esistenti; può darsi che sia così ma, in tal caso, bisognerebbe comunque prevedere la presenza di una figura di “garanzia amministrativa” per lo svolgimento di molte funzioni che oggi sono in capo al dirigente scolastico, a partire, per esempio, dalla sottoscrizione dei contratti di istituto.
Insomma, che l’attuale modello di autonomia debba essere rivisto è fuori discussione, ma – almeno per ora – non si vedono ancora all’orizzonte proposte credibili e praticabili.
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