I dirigenti scolastici sul piede di guerra. Le responsabilità sono moltiplicate nel corso degli anni, ma gli stipendi rimangono al palo.
Dopo 16 anni di riforme, i presidi non hanno avuto aumenti sostanziali nei compensi e addirittura, in alcuni casi, diventano reggenti anche di 6 plessi contemporaneamente. Le sigle sindacali di categoria scenderanno in piazza il 25 maggio contro l’attuale trattamento economico, le maggiori responsabilità, il carico di lavoro per gestire una singola scuola.
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Con la riforma attuata dalla ministra Madia nel settore della pubblica amministrazione c’è un unico contenitore dell’area Scuola, Università e ricerca con diverse sperequazioni in termini stipendiali: un preside, ad esempio, non arriva ai 60mila euro all’anno, un direttore del Cnr, invece, oltre 95mila. Una differenza di quasi 35mila e sale ancora di più – come segnala il Sole 24 Ore – se si paragonano con i dirigenti amministrativi degli atenei del Nord come Torino o Bologna. Per i presidi una busta paga così leggera non è in linea con le accresciute responsabilità (dalla titolarità delle relazioni sindacali fino ai nuovi compiti introdotti dalla Legge 107) E come se non bastassero quei problemi, ci sono anche le reggenze a rendere il lavoro molto più complicato.
Fedeli ha annunciato un nuovo bando per l’estate prossima, ma serve il via libera del Ministero dell’Economia per il bando da 1500 posti. Il problema però è che a settembre 450 presidi andranno in pensione. E alla fine è la classica storiella “della coperta corta”.
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