A cadenza periodica torna alla ribalta il vecchio dibattito sulla figura del dirigente scolastico.
Già negli anni ’80 molti, anche all’interno del sindacalismo confederale, parlavano di preside elettivo. Poi nel 1998 arrivò il decreto 59 che istituiva il dirigente scolastico cancellando presidi e direttori didattici e il dibattito si fermò, ma qualcuno è rimasto fermo su questa idea, come per esempio la Gilda.
I fautori di questa soluzione fanno osservare che all’università il “magnifico rettore” è elettivo da tempo anche se, per la verità, le università sono organi con una autonomia più che secolare.
Molti sostenitori dell’idea del “preside elettivo” sottolineano che in tal modo si garantirebbe davvero di avere dirigenti rappresentativi della comunità scolastica.
Tuttavia, se si vuole davvero parlare di elettività e di rappresentatività, bisognerebbe approfondire un aspetto assolutamente decisivo e definire con precisione quale debba essere il corpo elettorale.
Perché, se davvero il dirigente deve rappresentare l’intera comunità scolastica, non può essere eletto solo all’interno del collegio dei docenti.
Alla sua nomina dovrebbero poter partecipare anche il personale Ata, i genitori e, nella secondaria di secondo grado, persino gli studenti.
D’altronde le modalità di elezione del rettore sono definite proprio all’interno degli statuti delle singole università che prevedono una larga partecipazione al voto da parte di tutte le componenti.
E’ del tutto evidente, però, che una riforma di questo genere dovrebbe accompagnarsi ad una radicale revisione delle competenze del dirigente che dovrebbero essere “alleggerite” di molti compiti di natura gestionale e contabile che andrebbero affidati al DSGA.
DSGA che, a quel punto, assumerebbero molti dei “poteri” che adesso sono dei dirigenti scolastici, con il rischio che si apra un nuovo dibattito sulla elettività degli stessi DSGA.
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