Nella giornata del 25 maggio, i presidi associati ad ANP ed altre sigle di categoria, sono scese in piazza per protestare contro la valutazione dei dirigenti scolastici, gli stipendi inadeguati e i carichi di lavoro eccessivi.
“Non ci sottraiamo agli impegni: siamo pronti a sostenere le responsabilità professionali, ma vogliamo strumenti adeguati per esercitare con successo le nostre prerogative”, ha detto Giorgio Rembado, presidente dell’Associazione nazionale presidi che ha organizzato la protesta nella capitale.
In effetti, da molti punti di vista, non si può non condividere le ragioni del malcontento dei dirigenti scolastici: “oggi un dirigente deve occuparsi dei rapporti con i genitori, con i ragazzi, con il suo corpo docente, con il personale Ata, con le amministrazioni comunali oltre che con gli uffici periferici del ministero; è responsabile della sicurezza della scuola; deve gestire il bilancio della scuola; occuparsi di selezionare il personale attraverso la chiamata diretta; vigilare sulla didattica; definire il bonus merito dei suoi docenti e chi più ne ha più ne metta”, si legge sul blog di Alex Corlazzoli de Il Fatto Quotidiano. E prosegue: “a fronte di tutto ciò è senz’altro vero che lo stipendio è inadeguato o perlomeno non corrisponde a quello di chi dirige un ente di ricerca o un ateneo o ancora siede in un ufficio di viale Trastevere. Oggi i dirigenti sono persino costretti a delle ‘reggenze’ ovvero a dover amministrare più scuole senza avere chissà quale somma accessoria in più. Per capirci un dirigente non arriva secondo i dati dell’Associazione nazionale presidi a 60mila euro l’anno”.
E’ altrettanto vero però, che la figura del Ds, proprio per il fatto che ha assunto delle responsabilità maggiori rispetto al passato, ha il dovere di mantenere una certa autorevolezza ed una certa capacità manageriale, che invece, in molti casi, sembra proprio un requisito mancante alla figura, senza, ovviamente, voler generalizzare.
I casi di inefficienza e superficialità non li prendiamo in considerazione, non perchè assenti, ma perchè alla fine quello che preme sottolineare è proprio un altro tipo di problema, ovvero quello degli abusi nati o dall’eccessiva conoscenza della legge e quindi girarla a proprio favore o per il suo contrario, cioè per la insufficiente preparazione in normativa scolastica.
Abbiamo già parlato della preside che negava i permessi con una circolare: “da oggi e fino al termine delle lezioni, per motivi legati all’organizzazione didattica e per l’impossibilità di provvedere alle sostituzioni, non sono concesse ferie richieste in applicazione dell’art. 15, c. 2 del CCNL e permessi brevi“.
Questi episodi, anche se circoscritti, non fanno altro che alimentare uno scontro in atto nel mondo della scuola che vede contrapposti i docenti ai presidi.
Senza contare degli episodi segnalati di contributi volontari diventati “obbligatori” per le famiglie che vogliono iscrivere i propri figli a scuola.
Tuttavia, lo scontro principale fra docenti e Ds è sulla chiamata diretta, uno dei più criticati punti della legge 107, che ha contribuito alla nascita della mitologica figura del “preside sceriffo“.
Certamente non sono mancate le polemiche la scorsa estate per il meccanisco della chiamata diretta, ma non possiamo dire che tutti i presidi abbiano “selezionato” i docenti di loro preferenza, ma siano riusciti ad utilizzare con equilibrio il nuovo strumento.
Ma i Ds devono comprendere lo stato d’animo dei docenti, sempre più sviliti e stressati negli ultimi tempi, da alunni, famiglie e governi.
Proprio sulla chiamata diretta, ancora Alex Corlazzoli lancia una idea-provocazione: “e se la chiamata diretta funzionasse anche per loro (i DS)? Il modello spagnolo che in qualche modo è adottato anche in Svizzera mi sembra il migliore: il director in Spagna è scelto e nominato attraverso una procedura di selezione alla quale partecipano gli insegnanti di ruolo del livello educativo specifico e del tipo di istruzione offerta dall’istituto che andrà a dirigere. La selezione, che coinvolge la comunità educativa tiene conto dei meriti accademici e professionali ma anche dell’esperienza e della valutazione positiva del lavoro che hanno svolto in precedenza nella scuola. La scelta viene fatta da una commissione composta da una componente di insegnanti (il 50%). In questo modo ogni scuola elegge in maniera democratica il suo dirigente, una persona conosciuta, apprezzata che ha già competenze in quella scuola.
Ecco in Italia i presidi fanno bene a protestare (peccato non siano scesi in piazza contro la 107 quando sembrava che giocasse a loro favore) ma forse dovrebbero ripensare al loro ruolo”.
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