Riceviamo da Giorgio Palumbo della Palumbo Editore di Palermo, il seguente contributo sull’inadeguatezza dei tetti dei prezzi dei libri di testo.
Gentile Direttore,
da alcuni giorni circola nelle scuole un documento dell’Associazione Nazionale Presidi (A.N.P.) del 23 marzo, che si propone di fare chiarezza in merito alle modalità da seguire in fase di “adozione dei libri di testo” per il corrente anno scolastico (2021/2022).
Fatta salva l’opportunità dell’iniziativa, tanto più necessaria in conseguenza della confusione determinatasi a seguito della crisi pandemica ancora in atto, voglio cogliere l’occasione offerta da una svista che questo documento contiene per fare qualche riflessione – sempre più necessaria e urgente – sul tradimento, perpetrato da ormai dieci anni a spese di famiglie e imprese, della funzione originaria dei “tetti di spesa” quali strumento di politiche sociali.
Il documento sopra richiamato, infatti, alla voce “Determinazione dei prezzi dei libri di testo nella scuola primaria e dei tetti di spesa nella scuola secondaria”, riporta erroneamente quanto segue:
“La legge n. 133/2008 e ss.mm. fissa i prezzi dell’intera dotazione libraria per ciascun anno della scuola primaria ed i tetti di spesa per ciascun anno della scuola secondaria di primo e secondo grado”.
Il documento, inoltre, “consiglia di aggiornare i tetti di spesa per adeguarli al tasso di inflazione attraverso il sistema di ricalcolo disponibile al link http://rivaluta.istat.it:8080/Rivaluta/”, come se fosse compito dei Presidi e delle scuole adeguare i tetti di spesa.
Non è però la L. 133/2008, più volte rinovellata, a determinare periodicamente i prezzi e i tetti di spesa, bensì il meccanismo che essa dispone al suo art. 15 (Costo dei libri scolastici):
“(…) Con decreto di natura non regolamentare del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, sono determinati: (…)
c) il prezzo dei libri di testo della scuola primaria e i tetti di spesa dell’intera dotazione libraria per ciascun anno della scuola secondaria di I e II grado, nel rispetto dei diritti patrimoniali dell’autore e dell’editore”.
Insomma, è compito del Ministro in carica provvedere, con decreto di natura non regolamentare, a determinare il prezzo dei libri della primaria e i tetti di spesa della secondaria di I e di II grado e, pertanto, ai sensi della normativa vigente, non v’è alcun dubbio che grava direttamente sul MIUR l’obbligo di provvedere annualmente, e in tempo utile, a quanto in oggetto disposto.
Sta di fatto però che dal 2012 i tetti di spesa, a differenza dei prezzi dei libri della primaria, non vengono più aggiornati e che quelli del 2012, di cui si richiama ancora impropriamente la vigenza, in realtà non sono neppure più applicabili perché determinati ante riforma degli ordinamenti, come dimostra il fatto che la L. 12/2013 – cioè la legge di conversione del D.L. 104/2013 recante “misure urgenti in materia di istruzione, università e ricerca”, emanata per riordinare la materia, all’art. 6 (Contenimento del costo dei libri scolastici e dei materiali didattici integrativi) – all’ultimo comma disponeva in via transitoria:
“Per l’anno scolastico 2013-2014 non può essere escluso l’uso da parte dei singoli studenti di libri nelle edizioni precedenti, purché conformi alle Indicazioni nazionali ((e alle linee guida per il passaggio al nuovo ordinamento negli istituti tecnici e negli istituti professionali.))”.
Da allora in poi, fondamentalmente per ragioni di impopolarità politica, nulla è stato più fatto in materia di aggiornamento dei tetti di spesa, in ciò facendo sicuro affidamento anche sulla lentezza della giustizia amministrativa, fin troppo oberata, considerata l’ultimo baluardo per la difesa dei diritti patrimoniali di autori ed editori che la legge espressamente dichiara di tutelare. E ciò nonostante nel frattempo sia intervenuta la riforma degli ordinamenti che ha introdotto nuove materie e, conseguentemente, nuovi libri.
Ma, a scanso di equivoci, l’obiettivo della mia precisazione di oggi non vuole essere una difesa – che pure sarebbe legittima – dei diritti patrimoniali di autori ed editori sacrificati in nome del mancato aggiornamento dei tetti di spesa (bloccati da quasi dieci anni), ma la denuncia di una situazione di fatto nella quale l’inazione politica ha in sostanza scaricato sui privati, imprese e famiglie innanzitutto, il costo di politiche sociali, e dunque decisamente pubblico.
Molti infatti non sanno, o dimenticano, che i tetti di spesa, oggi avvertiti sostanzialmente come un calmiere della spesa destinata all’acquisto dei libri di testo, sono stati introdotti per la prima volta nel nostro ordinamento con la L. 448/1998 e in particolare l’art. 27 (Fornitura gratuita dei libri di testo), istituendo un fondo di 200 miliardi di lire destinato a garantire sia la gratuità, totale o parziale, dei libri di testo in favore degli alunni che adempiono l’obbligo scolastico in possesso dei requisiti richiesti, sia la fornitura di libri di testo da dare anche in comodato agli studenti della scuola secondaria superiore in possesso dei requisiti richiesti, appartenenti cioè a famiglie a basso reddito considerate in stato di c.d. “povertà relativa” (la povertà assoluta, oggi purtroppo in grande crescita, allora non veniva rilevata).
La funzione calmieratrice dei tetti di spesa, quindi, era stata pensata anche per consentire un’equa ripartizione su tutto il territorio nazionale del fondo di cui sopra.
Ed è alquanto difficile una diversa lettura di quanto in argomento, costituendo indubbiamente i tetti di spesa un’evidente limitazione della libertà d’impresa costituzionalmente garantita: libertà che se può essere compressa legittimamente in presenza di un obbligo scolastico, non ha invece ragion d’essere nei gradi successivi di istruzione se non in presenza di provvidenze erogate in attuazione del superiore diritto allo studio che, come tali, la giustifichino.
Come noto, invece, da allora ad oggi, nonostante l’aumento esponenziale della povertà assoluta e relativa, ulteriormente incrementatasi a seguito della pandemia, il fondo ex art. 27 della L. 448/1998 non ha subito alcuna rivalutazione e alcun adeguamento strutturale (fatta eccezione per limitati incrementi in via emergenziale) e i correlati tetti di spesa dal 2012 ad oggi non hanno avuto sorte migliore, nonostante la già intervenuta riforma degli ordinamenti.
Qualche anno addietro, un Ministro dell’Istruzione di un governo tecnico, dovendosi procedere ad un epocale passaggio al digitale, invece di immettere risorse destinate a sostenere il cambiamento pensò bene di assecondare l’evoluzione digitale in corso attraverso politiche di riduzione degli investimenti o addirittura – secondo fantasiose ipotesi di “reingegnerizzazione” della spesa delle famiglie – di fare innovazione per sottrazione di risorse a famiglie e imprese.
Voglio augurarmi che quei tempi siano soltanto un lontano ricordo perché la crisi innescata dal Covid ha fatto comprendere quanto sciagurate e miopi siano state le politiche di tagli compiute a danno di settori fondamentali quali Sanità e Istruzione.
Fare chiarezza, a volte, è necessario.
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