Alcuni genitori condividono costantemente sui propri profili social contenuti che riguardano i propri figli: foto, video, ecografie. Si tratta di un fenomento, chiamato “sharenting”: il neologismo, coniato negli Stati Uniti, deriva dalle parole inglesi “share” (condividere) e “parenting” (genitorialità).
Lo sharenting è da tempo all’attenzione del Garante, soprattutto per i rischi che comporta sull’identità digitale del minore e quindi sulla corretta formazione della sua personalità. La diffusione non condivisa di immagini rischia inoltre di creare tensioni anche importanti nel rapporto tra genitori e figli.
È dunque necessario che i “grandi” siano consapevoli dei pregiudizi cui sottopongono i minori con l’esposizione in rete (tendenzialmente per sempre) delle loro foto, anche in termini di utilizzo di immagini a fini pedopornografici, ritorsivi o comunque impropri da parte di terzi.
È dunque bene riflettere sul fatto che postare foto e video della vita dei minori, magari accompagnati da informazioni come l’indicazione del nome, l’età o il luogo in cui è stato ripreso, contribuisce a definire l’immagine e la reputazione online.
Quindi la domanda che ci si deve porre è: i nostri figli in futuro saranno contenti di ritrovare le loro immagini in rete, a disposizione di tutti?
Se proprio si decide di pubblicare immagini dei propri figli, il Garante invita a provare almeno a seguire alcune accortezze, come:
– rendere irriconoscibile il viso del minore (ad esempio, utilizzando programmi di grafica per “pixellare” i volti, disponibili anche gratuitamente online);
– coprire semplicemente i volti con una “faccina” emoticon;
– limitare le impostazioni di visibilità delle immagini sui social network solo alle persone che si conoscono o che sono affidabili e non condividono senza consenso nel caso di invio su programma di messagistica istantanea;
– evitare la creazione di un account social dedicato al minore;
– leggere e comprendere le informative sulla privacy dei social network su cui carichiamo fotografie, video, etc.
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