Imperversa il dibattito sulla eventuale riapertura delle scuole, date di maggio si inseguono, prima le superiori e poi la primaria, oppure prima la primaria e poi le superiori. Tuttavia appare con tutta evidenza che i fautori del dibattito non abbiano piena consapevolezza epidemiologica della situazione. Dialogando con medici, responsabili e rappresentati dei lavoratori della e per la sicurezza, emerge con tutta evidenza che il problema non afferisca il giorno in cui felicemente i portoni della scuola verranno riaperti, ma le modalità con cui questi portoni potranno esserlo.
È del tutto evidente che in un piccolo paese, con una manciata di studenti alla primaria e un’altrettanto esiguo numero di ragazze e ragazzi alla secondaria di primo grado, si potrà tranquillamente ripartire, perché tra docenti e studenti non si superano le cinquanta unità. Tutta un’altra storia invece per i grandi complessi scolastici cittadini, quelli che accolgono centinaia e centinaia di allievi, a volte superando il migliaio, non solo alle superiori ma anche nell’istruzione obbligatoria e ancor di più nel Centri Provinciali Istruzione per gli Adulti, presso i quali convergono stranieri provenienti da tutta la città e a volte da tutta la provincia, viaggiando, come in molti casi per i discenti delle superiori, su mezzi pubblici che torneranno ad essere affollati e a contatto con un numero svariato di altre persone nella loro quotidianità.
Il tema in questione è allora quanti studenti potranno entrare a scuola contemporaneamente. Per prima cosa è molto probabile che non tutti i venti/venticinque alunni di una classe possano tornare insieme a scuola, non potendo ospitare per questioni di sicurezza ogni aula più di una decina di persone, questo significa che si dovranno suddividere gli studenti in due gruppi, che si alterneranno tra mattina e pomeriggio, alla primaria ancor più difficile, dovendo garantire due turni (8.30 – 12.30) e uno pomeridiano forse ridotto (presumibilmente 14.00 – 17.00) anche nelle scuole che non facciano il tempo pieno. La settimana dopo o i docenti per incontrare il resto della classe, o gli studenti per incontrare gli altri professori, dovrebbero invertire i turni. Tale situazione oltre a rendere probabilmente non operative le mense scolastiche, obbliga a una totale revisione dell’orario di servizio dei docenti e di frequenza degli studenti, con l’aggiunta che i docenti e gli ATA con conclamate patologie e coloro che abbiano più di 65 anni sono al momento nella condizione di vedere interdetto dal ministero della sanità il loro rientro al lavoro.
Questo significa che le disposizioni medico-comportamentali dovranno essere diramate con congruo anticipo rispetto alla riapertura delle istituzioni scolastiche, in modo che le scuole provvedano con il tempo necessario alla riformulazione oraria dell’offerta formativa e dell’orario di frequenza, occorre altresì che vengano distinte le istituzioni scolastiche tra piccole realtà e grandi città.
Sembra facile, ma in realtà è una impresa titanica, che obbliga fin da subito il MIUR e tutti coloro che hanno responsabilità organizzative all’interno della scuola, a partire dai dirigenti scolastici, a farsene carico, progettando un ritorno a scuola che appare carico di complessità da affrontare immediatamente.
Davide Rossi (Sisa)
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