Leggo una miriade di commenti e post di genitori che si schierano a favore dell’apertura della scuola e altrettanti, invece, ne invocano la chiusura. Il nostro sguardo, sarà rivolto essenzialmente sugli aspetti sociali, ponendoci in primo luogo la domanda: qual è l’utilità che traggono gli studenti dal frequentare le aule reali, in presenza, rispetto a quelle virtuali, frequentando e seguendo la didattica a distanza, avvalendosi dei moderni strumenti tecnologici?
E’ una domanda complessa che richiede una risposta articolata perché abbraccia diversi settori. La scuola è palestra di vita, cooperazione, fornisce cultura e nel contempo fornisce spazi per allenare le conoscenze apprese nella vita. La pandemia, provocata dal Coronavirus ha messo in crisi il sistema scuola. Le distanze fisiche imposte dalle norme e dal buon senso, il ricorso a forme coercitive che impongono di inibire il movimento fisico (il banco di per se è strumento coercitivo del movimento), l’attenzione che il docente deve attuare per la sorveglianza più che alla didattica, agisce negativamente sulla libera socialità, producendo conseguenze non indifferenti sul singolo, sul gruppo formale costituito in aula.
La relazione tra il gruppo è caratterizzata da rapporti intensi e continuativi, fondata sulle condivisione di esperienze, interessi, valori considerati importanti per il singolo e il gruppo. Una socialità infetta, invasa da emozioni negative, potrebbe rivoltarsi contro lo stesso studente. Pensiamo al valore racchiuso nel sorriso come strumento di socialità, inibito e nascosto dalla mascherina; pensiamo all’alterazione della voce, al modo condizionato di esprimersi . Le mascherine hanno tolto la diversità che si contraddistingue proprio dalla comunicazione cinesica. La didattica a distanza, scioglie questa barriera e promuove una socializzazione “secca” nel senso che fornisce-garantisce una relazione priva di paura dall’essere contagiati o di contagiare. Possiamo affermare che si tratta di una “socializzazione sterile” che non si discosta molto da quella in presenza in classe in quanto conserva, comunque, i pilastri portanti del suo “processo”, del suo percorso formativo e valoriale.
I giovani anche quando vivono la didattica in presenza, conducono una vita da digitali. Essere in rete è parte integrante del loro quotidiano vissuto, forse ancora più incisivo di quel processo socializzante vissuto nell’istituzione scolastica. Oggi, in tempi di pandemia, non abbiamo studi e ricerche specifiche che possano affermare che il tipo di socialità vissuto in presenza sia migliore di quello consumato via WEB. Ritardare il più possibile il rientro in classe non sarebbe una sciagura per gli studenti che sono in possesso di abilità di recupero eccezionali. E poi siamo certi che la socialità accentuata via internet, in questo particolare momento di distanziamento fisico, di paure di stare e vivere in gruppo, sia peggiore di quella vissuta nella classe virtuale?
Francesco Garofalo
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