Ormai succede ogni giorno: prof. aggrediti, insultati, picchiati, accoltellati. Fra qualche mese questi casi di cronaca non faranno neppure notizia. Finché, al primo morto, la questione tornerà alla ribalta nazionale nei Tg e nei talkshow.
Intanto i docenti dovranno vedersela da soli. Foggia, Palermo, Como, Siracusa, Caserta … basta guardare il nostro giornale negli ultimi 10 giorni per capire che anche la Scuola sta deragliando, specchio della società intera, come purtroppo ci dicono le cronache.
La tendenza distruttiva dell’affidabilità dell’Istituzione Scuola si è manifestata dapprima con le contestazioni sistematiche delle valutazioni. A genitori e studenti non va mai bene niente: né il 5, né il 6, e neppure il 9. Poi sono cominciati gli insulti e le diffamazioni nelle chat e su whatsapp. Adesso si passa alle mani.
C’è chi sostiene che il ruolo del docente è ormai del tutto svilito. Ma non è solo questo. Di fatto la Scuola oggi è più attenta agli aspetti burocratici che educativi, con conseguenze rovinose. La “corresponsabilità educativa” è rimasta una parola vuota, scritta in documenti che nessuno legge. Richiederebbe un sforzo di “alimentazione” continuo, che nessuno è in grado di fare perché schiacciato da altre incombenze.
“Da tempo s’è rotta una sintonia fra noi docenti e le famiglie” afferma uno dei prof. aggrediti nei giorni scorsi, e nella scuola adesso “non esiste disciplina, autorità, governo”. Di giorno in giorno siamo arrivati alla situazione attuale. Basta un niente perché scoppi l’aggressività e la violenza.
La Scuola sta fallendo perché non è riuscita a seguire la bussola della propria mission e mantenere un argine. Troppo difficile, impegnativo e forse impossibile. È passata, per quieto vivere, la linea del “laissez faire laissez passer”, ovvero il buonismo senza responsabilità.
Per far rispettare le regole e i ruoli sono necessarie le famose virtù dell’educatore: la pazienza, la fortezza, la giustizia, la verità, come diceva Don Antonio Mazzi. Ma chi possiede più, oggi, queste virtù? Non il singolo docente, perché non è questo che gli viene chiesto dal sistema vigente. E poi, se anche il singolo docente fosse un ottimo educatore, si trova ad agire in un consiglio di classe dove spesso prevale da linea “buonista” e in un contesto scolastico dove per primi i presidi seguono la linea di non “urtare” studenti e genitori.
Eppure sono i ragazzi stessi, quando si discute con loro a mente fredda e non sull’onda dell’emotività, a riconoscere che servono la fermezza nel dialogo educativo e le punizioni quando occorre, giuste e tempestive.
La scuola tuttavia è semplicemente lo specchio di una società intera che sta deragliando, perché “non esiste disciplina, autorità, governo” né dentro la scuola, né fuori. Nell’ultimo decennio, in particolare, abbiamo assistito a tutti i livelli all’eclissi dell’autorità riconosciuta come tale.
Prima la famiglia, che ha mollato completamente sul piano educativo, accontentando e giustificando i figli sempre e comunque.
Poi lo Stato, sempre più incapace di mantenere e di far rispettare quello che i filosofi illuministi chiamavano il “contratto sociale” finalizzato al bene comune e all’utilità sociale. “Obbedire alle leggi è come obbedire a se stessi” scriveva Rousseau. È il fondamento dello Stato e della democrazia.
Oggi invece, troppi sono coloro che non riconoscono né leggi, né regole, e la “fanno franca” in svariatissimi settori, mandando alla società tutta un messaggio devastante. Lo vediamo quotidianamente, nelle cronache e nei telegiornali. E non bastano certo le belle parole del ministro di turno, a fattaccio avvenuto, per dimostrare di “esserci”, come Stato.