C’è molta incredulità di fronte alla notizia relativa alla prof di un liceo di Chioggia che è stata destituita dall’insegnamento per “inettitudine” in seguito ad una sentenza della Cassazione, che sarebbe stata assente dal lavoro per ben 20 anni su 24 grazie ad una serie di permessi e congedi ben incastrati nei periodi dell’anno. La Repubblica ha ricostruito questa rete che ha permesso alla docente di insegnare per solo 4 anni scarsi.
La docente, 56 anni, originaria di Reggio Calabria, vince un concorso e diventa docente di ruolo alle superiori nel 2001. Da lì passa prima per un istituto magistrale di Polistena, poi per un liceo a Dolo (Venezia) e infine sbarca in un liceo di Chioggia (sempre Venezia), passando per una scuola di Trieste. Trasferimenti e assegnazioni provvisorie annuali, anche per via della sicurezza personale del suo convivente, ufficiale della Guardia di Finanza.
Ebbene, nei vent’anni che vanno dal primo settembre del 2001 al 30 giugno del 2021 la prof colleziona 67 certificati di assenza per malattia che la portano lontano dalla cattedra, si legge anche nella sentenza della Cassazione, da 40 a 180 giorni l’anno, interrotti solo da piccole pause. E ancora: 2 assenze per infortuni sul lavoro, 16 permessi per motivi personali, 3 interdizioni dal lavoro per tutela della salute, i congedi di maternità e allattamento, alcune assenze per malattia del bimbo piccolo, 7 periodi di congedi parentali retribuiti, 24 congedi e permessi per assistere familiari portatori di handicap gravi, 5 esoneri giornalieri per la partecipazione a corsi di aggiornamento e formazione.
Più di cento giustificazioni in totale elencate nel suo curriculum giuridico agli atti del ministero. Che collegate alla sospensione delle lezioni, tra festività, ferie natalizie ed estive, hanno ridotto l’attività didattica di una lunga carriera a un gruzzoletto di insegnamenti di circa quattro anni. Giudicati, per di più, “improvvisati”, “disattenti”, “carenti”, “imprecisi”, “casuali”. “Assenze abnormi”, scrive la Corte, che pure non determinano la destituzione della prof perché legittimamente presentate e accertate.
Ma così episodica è la sua presenza a scuola che l’ispezione comandata dal ministero dell’Istruzione per pochi mesi nel 2015 e nel 2016 al liceo di Chioggia dopo le proteste nella scuola viene ritenuta più che sufficiente ad appurare se il suo metodo di insegnamento sia idoneo o meno. “I miei 20 anni di assenza su 24? Una vulgata”, dice la prof a La Repubblica.
La docente in questi anni ha ottenuto tre lauree, si è diplomata in pianoforte, ha collezionato diplomi di specializzazione e perfezionamento annuali e biennali in autonomia scolastica, storia della medicina, parassitologia del territorio, pet therapy, criminologia, nuove tecnologie, disturbi dell’apprendimento. Ha scritto su riviste online come giornalista pubblicista, partecipato a convegni, preso parte a seminari e frequentato corsi di aggiornamento sulla storia degli ospedali o la dispersione scolastica. Un gran bagaglio di conoscenze che allunga il suo ricco curriculum e che però in cattedra non la porta quasi mai.
Nel frattempo è spuntato, su Il Corriere della Sera, un articolo della docente scritto nel 2011 pubblicato su una rivista on line, una replica a Gian Antonio Stella che in quei giorni, sul Corriere, aveva pubblicato un articolo sui dati dell’assenteismo dei docenti dal titolo: ‘Prof malati, a Reggio Calabria il triplo che ad Asti’. L’articolo presentava dati che dimostravano che in media i docenti reggini si ammalano 12,8 giorni l’anno. Tre volte e mezzo di più dei colleghi astigiani: 3,6.
La prof ha risposto elencando le enormi differenze tra le vite di un insegnante che lavora ad Asti e uno che lavora a Reggio in termini di trasporti carenti, collegamenti stradali pericolosi (La Salerno Reggio Calabria e la statale 106, “la superstrada della morte”) avversità metereologiche e anche geografiche (“Si dà il caso che al centro della provincia di Reggio Calabria insista quel monumento geologico che chiamasi ‘Aspromonte‘”). Per non parlare poi delle carenze delle strutture scolastiche calabresi. Insomma, tutte queste dificoltà “fanno sì che l’insegnante calabrese che lavora in Piemonte non abbia motivo di assentarsi” mentre quello che lavora al sud di motivi ne ha parecchi.
Il Mattino di Padova ha intercettato una ragazza, ex studentessa della professoressa, alunna della classe del liceo di Chioggia da cui sono partite le proteste nel 2019, che ha dato un quadro più chiaro del suo modo di insegnare. “Abbiamo capito subito che era un’insegnante ‘anomala’. All’inizio ci faceva pure comodo lavorare poco; ma, con il passare delle settimane, ci siamo resi conto che tutto poi ci sarebbe tornato contro, perché saremmo arrivati a fine anno con delle grosse lacune. Avevamo paura di sollevare il problema, perché si sa che non è facile mettersi contro una docente. E comunque eravamo ragazzini, pieni di insicurezze. I nostri compagni di quinta, ad esempio, non hanno voluto farlo, perché avevano gli esami di maturità e temevano di essere penalizzati. Ma noi ci siamo fatti forza, anche con l’aiuto dei nostri genitori, che hanno capito la gravità della situazione, e abbiamo deciso di portare alla luce le molte stranezze di cui eravamo testimoni”, ha esordito, spiegando le difficoltà che ha dovuto affrontare insieme alla sua classe.
Ecco le tante stranezze attorno alla prof: “La professoressa era spesso assente. Mancava spesso, ma sempre per pochi giorni, così non veniva nominato un supplente. Spesso arrivava senza libri e, quando spiegava, si limitava a leggere qualche riga del testo, era molto approssimativa. In un anno ha fatto una sola verifica. Un test a crocette con 10 risposte per ogni domanda, impossibile da fare, tanto che lei passava per i banchi a suggerire. Spesso spostava i banchi, mettendoli vicino alla cattedra, come una sorta di castigo per chi prendeva di mira senza una ragione. Una mattina è arrivata in classe, ci ha detto che era caduta su un ponte e sarebbe andata al Pronto Soccorso. È uscita e ci ha lasciato lì. Spesso non faceva nemmeno lezione e ci faceva vedere film su personaggi che non facevano nemmeno parte del programma. In quinta, preparando l’esame, ci siamo resi conto di quante lacune avevamo nel programma di Storia e Filosofia di terza”.
“Non avevamo più avuto notizie negli anni successivi e noi abbiamo continuato il percorso di studi con altri docenti. Oggi siamo tutti all’università e, a distanza di anni, ci siamo rasserenati, e su alcuni aneddoti di allora ci siamo anche fatti qualche risata. La notizia della destituzione ci ha riportato alla mente quei giorni e ci siamo sentiti. Eravamo molto giovani e impauriti, ma ci rendevamo conto che la nostra battaglia era giusta. Prima di arrivare allo sciopero, ne avevamo parlato tra noi, con i nostri genitori e avevamo anche motivato per iscritto le nostre ragioni al preside. Ci siamo ritrovati in una situazione più grande di noi, ma ci siamo fatti forza insieme, sostenendo i nostri diritti per una giusta istruzione”, ha concluso la ragazza.
La docente, che avrebbe totalizzato addirittura vent’anni di assenza, è stata destituita dall’insegnamento. Il motivo, però, non sono le assenze, ma “l’inettitudine assoluta e permanente all’insegnamento”. Come riporta Il Gazzettino, il problema è sorto quando, nel marzo 2013, la professoressa avrebbe “insegnato” davvero, per un periodo di quattro mesi, uno dei più lunghi della carriera, provocando una sorta di rivolta di studenti e genitori.
La docente, infatti, durante le lezioni si sarebbe intrattenuta spesso al cellulare, tra chiamate e messaggi. Le sue spiegazioni consistevano, pare, semplicemente in semplici letture dei libri di testo, che spesso si faceva prestare dagli stessi alunni. La professoressa era solita iniziare un’interrogazione con uno di loro e passando, poi, a parlare di argomenti diversi con un altro. Anche i voti sembravano dati “a casaccio”: per la precisione “in modo estemporaneo ed umorale”, come rilevato nel monitoraggio.
Gli studenti si lamentavano con genitori e altri docenti di questo andazzo, i genitori avevano informato il dirigente scolastico e quest’ultimo aveva segnalato la situazione al Miur che aveva inviato tre ispettrici a prendere visione della situazione e, sulla base del loro rapporto, aveva “dispensato” la docente dall’insegnamento, nel 2017.
Lei fece ricorso al Tribunale del lavoro di Venezia, rivendicando, tra le altre cose, la “libertà di insegnamento”. Il tribunale, nel 2018, le diede ragione, sostenendo che l’attività ispettiva di tre giorni, su quel breve periodo lavorativo, non bastava a configurare una inettitudine assoluta e permanente. Insomma, per la professoressa poteva essere semplicemente un periodo “storto”. Ma, nel 2021, la Corte d’appello ribaltò la sentenza di primo grado e, ad aprile, la Cassazione ha confermato la sentenza di appello, condannando la professoressa a restituire gli stipendi, per i mesi non lavorati, incassati dopo il giudizio di primo grado, nonché tutte le spese processuali. L’argomentazione di fondo della Cassazione è che “la libertà di insegnamento in ambito scolastico è intesa come autonomia didattica diretta e funzionale a una piena formazione della personalità degli alunni, titolari di un vero e proprio diritto allo studio”.
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