Quando un docente dice ingiustamente ad uno studente che al termine dell’anno sarà sicuramente respinto compie un atto di intimidazione e può andare incontro ad un reato. Il verdetto è contenuto nella sentenza della Corte di Cassazione 36700 del 24 settembre che ha respinto il ricorso di un insegnante di un liceo scientifico vicentino reo di aver intimidito un’allieva minacciandola di bocciatura. Per il docente ed i suoi avvocati il reato non era stato invece commesso perché il “male minacciato” (la bocciatura) non può in nessun caso essere conseguente alla volontà di un singolo insegnante ma va sempre ricondotto all’organo collegiale (il consiglio di classe).
Il 23 ottobre 2007 la Corte d’appello di Venezia aveva invece già dato ragione, in secondo grado, alla studentessa alla quale il docente si era rivolto dicendole che “non aveva più alcuna possibilità di essere promossa”. Ora gli ermellini, della VI sezione penale, mettono fine alla questione sostenendo che “correttamente i giudici hanno ritenuto sussistente la minaccia grave”, perché “per una studentessa la ingiusta prospettazione di una bocciatura rappresenta una delle peggiori evenienze, tale da poter configurare l’aggravante”. La sentenza della Corte Suprema non sembra lasciare spazio a questo tipo di difesa: “L’impossibilità di realizzare il male minacciato – si legge nella sentenza – esclude il reato solo se si tratti di impossibilità assoluta, non quando la minaccia sia idonea ad ingenerare comunque un timore nel soggetto passivo”. Quindi giustamente, conclude la Cassazione, i giudici del merito “hanno riconosciuto che la minaccia di una ingiusta bocciatura rivolta dal professore fosse idonea ad ingenerare nella studentessa forti timori, incidendo la sua libertà morale”. Ad aggravare la posizione del docente sono state due particolari circostanze. La prima è che ad aver spinto la liceale a rivolgersi alla Procura della Repubblica sono state le modalità temporali del pronunciamento intimidatorio del docente: il prof si era infatti espresso duramente contro la studentessa a seguito di un’assemblea durante la quale la madre della ragazza aveva proposto che non fosse mantenuta la continuità didattica dell’insegnante nel triennio successivo. La seconda circostanza è che l’insegnante è stato condannato non solo per l’intimidazione ma anche per abuso d’ufficio a seguito dello svolgimento continuativo di ripetizioni private a pagamento ai suoi studenti e per averli “costretto” a fargli alcuni regali. A confermare la rilevanza di questi due aspetti della vicenda è stata la stessa VI sezione penale della Cassazione che il 25 settembre, il giorno dopo la pubblicazione della sentenza, si sono sentiti in dovere di sottolineare con una nota che la costituzione del reato di minaccia aggravata poggia su un’ingiustizia di fondo: “il comportamento del docente censurato – spiegano i giudici della Suprema Corte – nel caso era estraneo al contesto didattico di insegnamento e costituiva una diretta conseguenza di una assemblea dei genitori che avevano proposto il non mantenimento della continuità didattica nel successivo triennio per il docente in questione”.
Il mancato accoglimento del ricorso da parte della Cassazione ha scatenato immediate polemiche. Soprattutto in ambiente politico, in particolare dalla parte del centro-destra. Gabriella Carlucci (Fi), vicepresidente della Commissione bicamerale per l’Infanzia, sostiene che “ancora una volta la Suprema Corte emana una sentenza pericolosa e buonista ma soprattutto assolutamente sorprendente. Per educare i ragazzi – ha detto Carlucci – il corpo docente deve poter esercitare la propria autorità anche con durezza e rigore. La promozione è l’obiettivo che l’alunno deve porsi alla fine dell’anno scolastico: minacciare di bocciare un soggetto indisciplinato e scarsamente produttivo è un modo per spronarlo ad assumersi le proprie responsabilità e per convincerlo a rispettare le regole di buona educazione che devono essere alla base di una convivenza civile all’interno della classe. Non ha alcun senso – conclude la parlamentare azzurra – lamentarsi dei continui episodi di bullismo, della mancanza di autorità e di autorevolezza degli insegnanti italiani nelle scuole, se le indicazioni dettate dalla Suprema Corte perseguono poi una direzione diametralmente opposta”.
Dello stesso avviso Roberto Castelli, Sottosegretario leghista alle infrastrutture: “Assistiamo a decine di talk show – osserva Castelli – in cui sociologi, psicologi, politologi e tuttologi si domandano perché i nostri giovani siano afflitti da bullismo, perché tendano a restare ‘bamboccioni’ il più a lungo possibile, perché siano restii ad assumersi delle responsabilità. Mi rifiuto di pensare – aggiunge l’esponente del Carroccio – che la realtà della sentenza sia quella espressa dalla sintesi giornalistica, ma se fosse vera mi domando in che mondo vivano certi magistrati e se abbiano dei figli”. Castelli è particolarmente duro anche con l’attuale sistema scolastico: “Personalmente – sostiene l’esponente della Lega – sono contento di avere frequentato un liceo in cui, a fronte delle nostre inadempienze, i professori minacciavano un giorno sì e l’altro pure la bocciatura. Forse non è un caso che nel giro di pochi anni da un liceo siffatto siano usciti un deputato di tre legislature, un governatore di Regione e un ministro. La scuola di oggi invece sembra specializzata a sfornare precari”.
Anche secondo Luca Bellotti, (An) con questa sentenza “gli insegnanti nelle scuole vedono ridiscussa ogni giorno la loro autorità. Se non rimane loro neppure questo, che mezzi di coercizione possono esercitare?”.
La decisione della Corte Suprema viene invece accolta con piacere dagli studenti. “Siamo davvero soddisfatti per questa sentenza perché finalmente ripristina uno stato di legalità – dichiara Luca De Zolt, della Rete degli studenti – su una vicenda di estrema attualità: i giudici hanno ribadito che le regole di rispetto valgono per tutti coloro che operano nella scuola, senza distinzione e quindi anche gli studenti che anti-democraticamente vengono spesso considerato l’ultimo anello della catena”.
De Zolt conosce bene la vicenda del docente vicentino condannato la prima volta nel 2005: “in quel periodo – spiega il rappresentante della Rete degli studenti – ero coordinatore studentesco proprio in Veneto e avevamo lavorato molto su questo caso”.
Secondo lo studente il sistema scolastico non è a volte in grado di difendere i diritti dei discenti: se non, come è avvenuto, attraverso il ricorso alla giustizia ordinaria. “Il problema è generale – sottolinea De Zolt – e coinvolge anche il dibattito politico che negli ultimi anni ha prodotto l’inasprimento di regole che non tengono conto dei diritti degli studenti e che infatti non sono in linea con il nostro Statuto: lo stesso ripristino del voto in condotta, contro cui protesteremo il 4 ottobre con un sit-in sotto il Ministero, ne è la testimonianza più grande”.
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