Il problema del rapporto docente – alunno è sempre un tema molto presente a scuola. Ma le neuroscienze avvertono: se l’insegnante è felice gli alunni imparano meglio. O almeno così è emerso dall’ultimo convegno Erickson “La qualità dell’inclusione scolastica e sociale”, tenutosi a Rimini la scorsa settimana.
EMOZIONI E APPRENDIMENTO A STRETTO CONTATTO
Nel corso del convegno è intervenuta Daniela Lucangeli, docente di Psicologia dello sviluppo all’università di Padova, che parla proprio di come il rapporto tra emozioni e apprendimento sia molto stretto, si legge su Io Donna: “oggi la scuola sembra una corsa alla sopravvivenza, dichiara Daniela Lucangeli. Ma ciò che noi viviamo a livello fisico innesca entrambi i network cerebrali. Mentre imparo sento un’emozione, di gioia o di angoscia, che mi resta impressa. Se la memoria mi riporta l’emozione negativa, si crea un cortocircuito disfunzionale”.
La docente punta l’attenzione proprio sulla fatica e sulle emozioni che questa può provocare, negative sia per il docente che per gli studenti: “Un bambino che a scuola fa fatica, dopo anni e anni di sofferenze stabilizza in memoria un percorso di fuga” continua Lucangeli. La fatica di apprendere a queste condizioni toglie energie, il cervello ha meno potenziale a disposizione e lo utilizza per tenere a bada la noia.
MA LA SCUOLA NON DEVE ESSERE FACILE
Tuttavia, Lucangeli ci tiene a precisare che lo scopo non è quello di avere un percorso facilitato a scuola: “Non sempre la fatica di per sé è negativa. Ma un conto è la fatica che porta al risultato, un altro quella che crea frustrazione. Dico no alla scuola facile, sì a quella che permette a ciascuno di esprimere il proprio potenziale. L’atteggiamento dell’insegnante non dev’essere quello di: io insegno, tu apprendi, io verifico e ti giudico, perché così si crea solo paura e senso di colpa. L’errore non è un giudizio sulla persona ma va eliminato lavorandoci insieme: serve un’alleanza educativa tra gli adulti che punti sull’incoraggiamento, sul provare a svolgere un compito con piacere, non perché il prof te lo impone.”
Infine, la docente chiama in causa anche i genitori che hanno un ruolo tutt’altro che secondario: “Compito dei genitori è osservare gli indicatori di benessere del figlio. Stare bene significa rispettare le sue qualità, non accontentarlo sui consumi. Quella non è educazione”.