Cosa significa essere insegnante? Si sceglie di diventare docente per missione o è un lavoro come ce ne sono tanti? E’ il dilemma presente negli ultimi anni nel dibattito pubblico.
Molti hanno le idee chiare, come Alfredo Passante, docente in pensione che da alcuni anni insegna italiano agli stranieri a Brindisi.
Ha deciso di raccontare la sua esperienza, a Invece Concita, la rubrica de La Repubblica curata da Concita De Gregorio, in cui oltre ad emergere i dubbi sulla fede cristiana, si fa largo la storia di un uomo che vuole aiutare il prossimo a tutti i costi.
Ecco il testo integrale della lettera:
“Sono un insegnante di matematica e fisica in pensione. Da qualche anno insegno italiano ai migranti nella parrocchia di San Vito a Brindisi. Lo faccio con altre persone animate da una fede che illumina perennemente il loro sguardo ed il loro sorriso. Io sulla fede non ho certezze. Non più. Mi sento un po’ il Giuseppe d’Arimatea della situazione”.
“Opero ai margini della loro attività. Faccio quel che posso, per l’amore che provo nei confronti dei miei simili. Quel che faccio è sempre poco rispetto a quanto la drammatica situazione richiede. Ragione e sensibilità, è risaputo, raramente procedono nella stessa direzione. La sensibilità mi spinge a non limitarmi a declinare verbi. Mi porta a soffermarmi su uno sguardo triste, addentrarmi nelle storie. Mi è capitato di chiedere: dove dormi? Di sentirmi rispondere: per strada. Si può rimanere indifferenti? Tornarsene a casa e chiudersi nei propri comfort?“.
“Il pensiero di quel ragazzo che non ha un posto dove dormire non mi lascia. Lo cerco, lo rintraccio e lo porto a casa. Gli assicuro un letto. Poi interviene la ragione. Non posso farmi carico per sempre di lui: devo fargli comprendere che la mia ospitalità è, purtroppo, a termine. Il ragazzo, prima ancora che io glielo chieda, lascia la mia casa. Può tornare per altri due mesi in una struttura nel centro Italia dalla quale si è allontanato per sottrarsi alle molestie sessuali da parte di altri ospiti, rimasti impuniti quando lui ha denunciato l’accaduto“.
“Ci siamo sentiti telefonicamente qualche volta, poi più niente. Mi ha chiesto sempre di trovargli un lavoro, ma ho incassato solo promesse non mantenute. Sono passati mesi. Dove è ora? Cosa fa? Potevo o dovevo fare di più? Qualche volta sono riuscito a provare la gioia di trovare lavoro per qualche migrante. Possiamo accontentarci di quello che riusciamo a fare per qualcuno? Don Milani propendeva per il sì, convinto che si possono amare veramente solo poche persone. Alexander Langer sentiva invece che bisogna essere ‘tutto per tutti’. Quando ne ha constatato l’impossibilità ha finito per suicidarsi“.
“L’amore per il prossimo può portare a questi gesti estremi e allontanare perfino da Dio. Per buona parte della mia vita sono stato un credente. Poi una più profonda riflessione sul perché della sofferenza e della sorte dei poveri mi ha messo in crisi. ‘Ama il prossimo tuo come te stesso’ recita il comandamento. Succede però di chiedersi, nell’apprendere di centinaia di esseri umani finiti in pasto ai pesci nell’indifferenza generale, ‘dove è Dio‘”.
“I credenti, come gli amici e le amiche che insegnano nella parrocchia di San Vito, confidano nel fatto che le sofferenze dei migranti saranno compensate nella vita eterna. Quasi che la vita fosse una partita con un tempo finito che si svolge nell’aldiquà e un altro infinito nell’aldilà. Io non ho questa certezza. Però lo spero, per tutta quella gente che attraversando deserti e mari rischia di fare un viaggio di sola andata, per tutti i migranti che ho visto nel dormitorio sulla provinciale per San Vito, che sostano davanti ai supermarket in attesa delle nostre briciole, per tutti i bambini avvolti in nugoli di mosche e destinati a morire. I miei amici operano ‘perché Dio esiste’. Io, come il preticello deriso di Caproni, ‘perché Dio esista‘”.
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