Il fenomeno del “copia copia” in classe è sempre esistito sono solo cambiati gli strumenti che possono agevolare gli studenti in un compito in classe o durante un’interrogazione. Altro che ChatGpt, intelligenza artificiale o Wikipedia: una volta, fino a una quindicina di anni fa, i ragazzi che copiavano in classe usavano fogli di carta, bigliettini. L’opportunità di riflettere su come sono cambiati i tempi è consistita, per una docente andata in pensione a settembre, il momento in cui ha aperto, qualche giorno fa, un vecchio scatolone pieno di fogli e fogliettini di carta, sequestrati durante i suoi anni di servizio.
La docente si chiama Carla Rosati e ha insegnato per ben 39 anni anatomia all’istituto professionale Fedele Lampertico di Vicenza. Quest’ultima ieri ha pubblicato sul suo profilo Facebook la foto che mostra ciò che si è trovata davanti riordinando il suo materiale scolastico.
Ciò che è stato una volta sequestrato ha fatto nascere molta nostalgia nell’insegnante. Non si tratta solo di stratagemmi per copiare: nello scatolone aperto dalla Rosati c’erano anche piccoli palloni, alcuni costruiti con cartacce, carte da gioco, piccoli giocattoli, dadi, lettere d’amore.
Il post ha riscosso molto successo. Sono molti gli ex studenti della prof che hanno commentato ricordando i tempi andati con aria di convivialità, creando un divertente botta e risposta con la docente. “Potrei riconoscere qualcosa di mio cercando bene e adesso insegno a mia figlia come farli e dove metterli per non farsi beccare”, ha scritto un’utente. “Ma che ne sanno i 2000…..noi sì che eravamo dei professionisti!”, ha fatto eco un altro. “Era un arte anche quella di creare i bigliettini”, riporta un altro commento.
La Rosati è stata intervistata poi da Il Corriere del Veneto, facendo un paragone con i metodi per copiare usati oggi che coinvolgono le ultime tecnologie: “Reperti che, per quanto recenti, appartengono a un mondo che non esiste più. Ora gli studenti copiano da Wikipedia, con il telefonino, e durante la ricreazione passano il tempo incollati ai social oppure giocando on line, perennemente con in mano i loro apparecchi elettronici. Sono circondati dai coetanei, eppure così isolati”, ha detto.
“Quelle foto raccontano una generazione lontana anni luce da quelle attuali. I bigliettini scritti a mano si utilizzavano soprattutto fino agli anni Novanta. Scoprirli era diventato quasi un gioco tra professore e alunno: li trovavo nascosti nelle maniche, negli astucci, infilati tra le gambe. Una volta, perfino scritti sul dorso della tessera per le fotocopie. Lo studente trascorreva ore a trascrivere gli appunti, riepilogando il contenuto del capitolo e qualcosa, dopo tutta quella fatica, gli rimaneva in testa. Ma poi sono arrivate le fotocopie rimpicciolite, che non richiedevano neppure lo sforzo di sintetizzare il testo. Infine, con la diffusione degli smartphone, negli ultimi anni copiare è divenuto un esercizio vuoto, superficiale: nessun impegno, massima accuratezza ma niente che possa contribuire alla formazione del ragazzo. E se un docente li pizzica a barare non può certo requisirgli lo smartphone, ché magari rischia pure una denuncia”, ha raccontato la docente con molta nostalgia, rivendicando una certa funzione che avevano i bigliettini.
Un tempo, racconta la docente, la stessa reazione di chi veniva “beccato” a copiare era molto diversa: “C’era chi cercava una giustificazione, chi mi giurava che era la prima volta, in un paio di occasioni credo che qualche studentessa si sia perfino messa a piangere. Li intristiva il brutto voto ma, ancora di più, temevano la nota sul libretto perché avrebbe significato che i genitori li avrebbero messi in castigo”.
Ecco invece di cosa ha fatto esperienza la docente nei suoi ultimi anni di lavoro: “Nessuna reazione, i ragazzi sono talmente proiettati su loro stessi da non vedere dove sta il problema: il mondo è dei furbi e difficilmente vengono chiamati a rispondere delle loro mancanze. Mi è capitato che qualche genitore mi dicesse che, in fondo, è normale che il figlio provi a farla franca”.
“Negli ultimi anni avevo proprio l’impressione di essere diventata vecchia perché non riuscivo più a capirli, gli studenti. Arriva il momento in cui un insegnante deve andare in pensione lasciando spazio ai prof più giovani. Loro sì, che riescono a entrare in sintonia con i ragazzi. Con tutti quanti. Compresi quelli che copiano”, ha concluso la prof in pensione con amarezza.
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