Si chiama, tecnicamente, DPR 24 giugno 1998, n. 249, ma tutti lo conoscono come Statuto delle studentesse e degli studenti della scuola secondaria.
Oddio, “conoscono” è forse dire troppo, giacché ancora oggi – a più di diciassette anni dalla sua pubblicazione sul numero 175 della Gazzetta Ufficiale – sembra che molti docenti non lo abbiano mai letto, o che non vi abbiano prestato molta attenzione. Infatti, l’articolo 2 comma 4 dello Statuto stabilisce che “Lo studente ha diritto alla partecipazione attiva e responsabile alla vita della scuola. I dirigenti scolastici e i docenti, con le modalità previste dal regolamento di istituto, attivano con gli studenti un dialogo costruttivo sulle scelte di loro competenza in tema di programmazione e definizione degli obiettivi didattici, di organizzazione della scuola, di criteri di valutazione, di scelta dei libri e del materiale didattico. Lo studente ha inoltre diritto a una valutazione trasparente e tempestiva, volta ad attivare un processo di autovalutazione che lo conduca a individuare i propri punti di forza e di debolezza e a migliorare il proprio rendimento”.
Ora, non si capisce – ma davvero, nel senso che sfugge proprio il senso di tale presa di posizione – come mai ancora oggi molti docenti si ostinino a non comunicare agli studenti i voti delle cosiddette interrogazioni. A dispetto delle indicazioni normative, in barba ad ogni “valutazione trasparente e tempestiva”, ci si ostina a perpetuare una vecchia, obsoleta e inconcludente procedura che tende, volutamente, a tagliare fuori gli studenti da quello che ai loro occhi rappresenta il momento più importante di un segmento di apprendimento: il risultato – ancorché immediato, contingente e a breve termine – del loro studio.
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Ciò che appare ancor più enigmatico è il motivo per cui gli stessi docenti che non comunicano il voto orale non facciano alcuna difficoltà a rendere pubblici i voti dei compiti scritti, quasi che lo scritto godesse di una sua specifica “extraterritorialità” che gli fornisce questo lasciapassare, di certo malvisto e accettato a fatica, poiché di certo – se potessero – non direbbero agli alunni neanche il voto degli scritti.
Certo, verba volant, ma in questo caso volano lasciando una bella traccia nella vita scolastica dei ragazzi. Una traccia che gli studenti hanno il diritto di conoscere e di conoscere con tempestività, come opportunamente sottolinea lo Statuto. Del resto, il legislatore non si è fermato lì: il DPR n.122 del 22 giugno 2009, se ancora non fosse stato sufficientemente chiaro, ribadisce il concetto richiamando espressamente – al comma 2 dell’articolo 1 – quanto sancito undici anni prima dallo Statuto delle studentesse e degli studenti.
E, nel comma successivo, mette in evidenza che “la valutazione concorre, con la sua finalità anche formativa e attraverso l’individuazione delle potenzialità e delle carenze di ciascun alunno, ai processi di autovalutazione degli alunni medesimi, al miglioramento dei livelli di conoscenza e al successo formativo”.
In conclusione, potremmo dire, un docente che rifiuta di comunicare il voto dell’interrogazione non permette l’attivazione di un processo di autovalutazione e – a cascata – impedisce agli alunni di individuare i propri punti di forza e di debolezza e di migliorare il proprio rendimento.
Ciò che a molti docenti sembra il semplice esercizio di un diritto (non comunicare il voto), in realtà è una pratica lesiva del diritto di altri soggetti che potrebbero essere gravemente danneggiati da una scelta didattica che appare piuttosto come una presa di posizione arbitraria senza alcun fondamento pedagogico.
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