Non sembra avere limiti l’ira di certi genitori contro gli insegnanti reputati troppo severi verso i loro figli: la loro “sete” di vendetta è tale da arrivare ad organizzare dei raid punitivi verso l’insegnante reo di avere alzato la voce per fare rispettare le regole. Così è andata a Napoli, tre settimane fa.
Era il 17 febbraio quando Enrico Morabito, docente precario dell’istituto comprensivo statale “Antonio de Curtis” di Casavatore, all’ultimo giorno di supplenza, fu picchiato selvaggiamente, a sangue, davanti al portone di casa da alcune persone, nella stessa giornata in cui, durante le lezioni del mattino, aveva richiamato all’ordine gli studenti di una prima media. Il docente fu costretto alle cure dell’ospedale di Frattamaggiore.
Ebbene, a distanza di 21 giorni è stato accertato che tra il gruppo di adulti che lo assalirono c’era anche il genitore di un alunno sgridato.
A suo carico, come pure di uno degli altri aggressori sinora identificati, la Procura della Repubblica di Napoli Nord ha emesso avviso di conclusione indagini per i reati di lesioni personali aggravate
Il docente denunciò ai carabinieri l’episodio di cui era rimasto vittima con un post su Facebook corredato dalla foto di lui con i visibili segni del pestaggio sul viso: “Ho sgridato la classe e mi hanno picchiato” scrisse il prof.
Ora i carabinieri, scrive l’Ansa, “grazie a dichiarazioni di testimoni e immagini dei sistemi di videosorveglianza, sono riusciti a identificare due degli aggressori e anche a chiudere le indagini, vista la rilevanza degli elementi di prova trovati nei confronti dei due 35enni”.
“La circostanza che tra i due vi fosse il papà di un alunno conferma in pieno il racconto del prof, che nel suo sfogo scritto subito dopo l’aggressione, sottolineò con amarezza come “la rovina dei figli sono i genitori”.
Ai mass media che lo intervistarono, il prof supplente disse di essere vittima di quanto accaduto, assieme ai ragazzi. “Io perché ho subito l’aggressione, ma anche loro, gli studenti, ai quali viene mostrata una società falsata, non basata sull’amore e sul rispetto ma sull’odio”.
Ancora di più perché il docente aveva fatto solo il suo dovere, redarguendo la classe che faceva “chiasso disturbando di continuo la lezione”.
Il prof scrisse su facebook che gli studenti era incontenibili: “Chi usciva, chi faceva assembramenti, chi si sedeva sul davanzale della finestra. A quel punto li ho richiamati un po’ più aspramente, dicendo loro che se avessero continuato così, la scuola poteva decidere provvedimenti disciplinari più seri, come la sospensione. La cosa è finita lì”.
Nel pomeriggio, invece, qualcuno suonò al citofono del prof: “Mi hanno chiesto se insegnavo nella scuola in questione e io ho detto loro che ho svolto solo un breve supplenza e ho chiesto loro chi fossero. Erano in 5. Età fra 40 e 50 anni. Pieno pomeriggio. Viso scoperto”.
“Non mi hanno dato tempo di fare altre domande che subito mi hanno aggredito verbalmente e fisicamente. Sul portone del palazzo ancora si vedono macchie del mio sangue. E per fortuna che non erano armati, avrebbero potuto fare di peggio”, ha concluso il docente.
Cosa accadrà ora? Sicuramente gli autori del pestaggio al docente subiranno un processo e rischieranno seriamente di essere condannati.
Esercitare violenza contro un insegnante – che quando insegna ricopre il ruolo di pubblico ufficiale – equivale ad un reato aggravato: il docente, infatti, nel corso dell’esercizio della sua funzione non può essere offeso nell’onore. Una condizione affermata anche nel 2014 dalla Corte di Cassazione.
Ricordiamo che con il decreto sicurezza bis, il D.L. 14 giugno 2019 n. 53, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 9 agosto 2019 che ha introdotto una “stretta” sulle disposizioni urgenti in materia di ordine e sicurezza pubblica, si può prevedere una condanna fino a tre anni.
Ecco il testo approvato: “Art. 341 -bis (Oltraggio a pubblico ufficiale). – Chiunque, in luogo pubblico o aperto al pubblico e in presenza di più persone, offende l’onore ed il prestigio di un pubblico ufficiale mentre compie un atto d’ufficio ed a causa o nell’esercizio delle sue funzioni è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni. La pena è aumentata se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato”.
Una eventualità, quest’ultima, che potrebbe configurarsi proprio con quanto accaduto a Napoli il 17 febbraio scorso.
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