Una docente di lettere che ha insegnato dal 1987 al 1999 in un liceo di Bologna ha deciso di lasciare la cattedra a due anni dalla pensione: il motivo? Secondo quanto riportato da La Repubblica, la donna, anche vicepreside, non riesce più a lavorare in una scuola che non sente più sua.
“Questa non è più la mia scuola, ma la scuola di adesso. Mi sento sconfitta”, queste le sue parole. “Vorrei che la scuola riscoprisse un’educazione alla passione e alla pazienza. Invece da troppo tempo insegue quello che c’è fuori, finendo per svalutare sé stessa. Modelli che per lo più sono estranei alla sua natura più autentica. Un esempio? L’orientamento. È importantissimo, ma, fatto così, delegato ad attività estemporanee, ha finito per squalificare il ruolo che la scuola aveva proprio nell’orientare. La scuola avrebbe in sé una grande capacità di fornire ai giovani gli strumenti per la conoscenza di sé. Può farlo attraverso l’esercizio del sapere, la pratica delle discipline che insegna. Ora tutto sembra invece soltanto finalizzato al lavoro futuro, e in questo non mi riconosco”.
Ed ecco poi una critica alle nuove tecnologie: “Intendiamoci, vanno benissimo. Ma se ci lamentiamo che l’uso eccessivo provoca nei giovani una sensibile diminuzione dell’attenzione, della concentrazione, della capacità di riflessione, la perdita di valore del silenzio, cosa è concesso di fare alla scuola per mettere in atto antidoti? Altro punto dolente è l’eccessiva ingerenza dei genitori, ulteriore segnale della svalutazione della figura degli insegnanti. Non è solo il fatto che vogliano intervenire su voti e giudizi, cosa fino a qualche anno fa impensabile, ma incontro continuamente padri e madri che spiegano a noi docenti come dobbiamo fare il nostro lavoro. Ogni tanto chiedo loro che mestiere fanno e cosa penserebbero se insegnassi loro come devono svolgerlo. È svilente”.
“È una generazione troppo tutelata e questo credo sia anche all’origine del disagio che i ragazzi provano. La scuola li mette di fonte alle difficoltà, ma dal momento che non sono abituati ad affrontarle vanno in crisi. Ragazzi e ragazze, poi, faticano a rispettare le regole”, ha concluso.
Qualche tempo fa lo psichiatra Paolo Crepet ha attaccato duramente i genitori: “Il Ministero potrebbe dire basta ai genitori a scuola. Non si dovrebbe entrare. La scuola è il luogo dei ragazzi e dei loro insegnanti. Punto. Già questa sarebbe una rivoluzione. I genitori dovrebbero poter andare a scuola una volta l’anno. Eliminare i voti? Facciamo una bella cosa, eliminiamo tutto. Eliminiamo anche le materie. Lasciamoli liberi come i bisonti nelle praterie del Nord America. Non mi piego a questo dibattito. Eliminiamo tutto, lasciamo andare a scuola mamma, papà, zia. Così i figli saranno liberi di fare nottata con gli spritz pagati da papà. La formazione crea disequilibri perché c’è uno che studia di meno e uno che studia di più. Se uno non vuole studiare andrà a lavorare. Non capisco questo egualitarismo da dementi. Non devono essere tutti laureati, anche perché poi non c’è nessuno che sa mettere a posto una sedia. Non solo la scuola è fallita, pure la famiglia è morta. Un 4 a scuola è un momento formativo. Così come quando ti lascia la fidanzata o litighi con gli amici”.
“Bisogna diffidare delle scuole che hanno il 90% dei promossi, perché mettere sullo stesso piano uno studente che si impegna, che ci mette passione, curiosità con uno che non ha voglia di far nulla? Bisogna difendere la meritocrazia. Ognuno di voi ha diritto alla sua scalata. Se i genitori spianano la strada per evitarvi difficoltà e problemi non vi stanno aiutando. Iniziate voi stessi a dire ‘ce la faccio da solo’. Dovrebbe essere di legge iscriversi a un’università distante dalla cucina di casa di almeno 450 chilometri”, ha concluso.
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